"I remember the sessions well, I remember how the musicians wanted to sound, and I remember their reactions to the playbacks. Today, I feel strongly that I am their messenger."
Questo scriveva nel 2007, in occasione del remastering di "Soul Junction" di Red Garland uscito esattamente cinquant'anni prima, lo storico ingegnere del suono Rudy Van Gelder. Lo stesso Van Gelder, tutt'oggi vivo e in attività, nel 2007 è ormai un anziano signore circondato dai suoi storici studios di Englewood Cliffs nel New Jersey; ma nel 1957 era un giovanotto di poco più di trent'anni dedito a registrare dischi Jazz nella casa dei suoi ad Hackensack, sempre nel New Jersey.
Ricorda quella registrazione il buon Van Gelder, forse preché quello era un periodo di particolare fermento sia per lui che per i musicisti che vi presero parte alla registrazione del disco: Red Garland, a capo del suo quintetto che vedeva Donald Byrd alla tromba, George Joyner al contrabbasso ed Art Taylor alla batteria, chiama al suo fianco come sideman nientepopodimenoche John Coltrane, anch'esso come Garland reduce dalla militanza in corso nel quintetto storico di Miles Davis. Parallelamente a tutto questo, la stessa casa-studio di Van Gelder, il 15 settembre del '57, esattamente due mesi prima della registrazione di "Soul Junction", aveva ospitato la registrazione di "Blue Train" di Coltrane. Red Garland, invece, smessi temporaneamente i panni di membro della leggendaria "Rhythm Section" di Miles Davis, giunge alla sua terza prova da leader, ed il risultato è "Soul Junction" uscito per la Prestige. Un titolo molto spirituale e metafisico, che dà il nome anche al pezzo che apre il disco e firmato dallo stesso Garland: dal punto di vista compositivo non è chissà cosa, poiché si tratta di un Blues canonico, ma dal punto di vista concettuale ed esecutivo il pezzo ha molto da dire, sia grazie alle radici sudiste di Garland, nativo di Dallas, sia grazie alle interpretazioni di Coltrane e Byrd, i quali riescono a scongiurare il fatto che un pezzo senza grandi "evoluzioni" come questo, alla lunga, possa apparire indigesto per via dell'eccessiva durata che arriva a sfiorare i sedici minuti. Tuttavia la titletrack riesce a tirare la volata ad una doppietta di pezzi Dizzy Gillespie, i quali costituiscono l'asse portante del disco: a "Woody'N You" spetta il compito di aprire questa doppietta; un pezzo molto amato in gioventù da Red Garland e in cui un Coltrane martellante sfodera un gran fraseggio nervoso, elemento peculiare della sua attitudine Hard Bop.
Ma è soprattutto con "Birk's Works", ovvero il cardine del disco, che le cose raggiungono il culmine: "Birk's Works" ("Birks" assieme a "John" è il vero nome di Gillespie) si presenta con un tema accattivante esposto all'unisono da uno sfavillante Byrd e da Trane, e precedentemente introdotto da Garland con un giro di piano "standard" ma di pregevole fattura. Se la memoria non mi inganna, proprio Trane prese parte alla prima registrazione di "Birk's Works" quando questi militava nella band di Gillespie. Il compito di spezzare la "catena" spetta all'unica ballad del disco, ovvero "I've Got it Bad" del Duca, terreno in cui Red può dare sfoggio del suo raffinato e "sofisticato" tocco, mentre Trane può affermare il suo essere campione di bellezza estetica del suono e del fraseggio anche nel campo delle ballad; un binomio che raggiungerà il suo culmine qualche anno dopo nello storico disco con Johnny Hartmann. I pochi pezzi (cinque) del disco si chiudono con "Hallelujah", brano effervescente aperto da uno sfavillante Byrd come se suonasse la carica finale. Alla fine si è pervasi dalla sensazione di aver ascoltato un buonissimo disco, amalgamato bene nella scelta e nella disposizione dei brani, suonato in maniera egregia e pertanto ottima testimonianza da leader di un mito del pianoforte Jazz come Red Garland, in questo caso (ma non solo in questo caso per quanto riguarda le collaborazioni tra il Garland leader e il Coltrane sideman) coadiuvato da un mito assoluto come John Coltrane.
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