Mentre in California, esplodeva il flower power, Grateful Dead e Jefferson Airplane, facevano da sottofondo ai festini lisergici organizzati da Ken Kesey e i suoi Merry Prunksters, a base di LSD e marijuana; mentre a New York, Lou Reed e John Cale mostravano all’America, il suo lato più metropolitano, sudicio e selvaggio e a Londra Syd Barrett e Roger Waters se la spassavano tra luci stroboscopiche e diapositive psichedeliche, nel mitico UFO, locale cult della controcultura londinese di fine anni ’60, c’era chi in Texas, più precisamente Houston, metteva su uno dei gruppi più importanti e influenti della scena underground americana di tutti i tempi.

Il gruppo in questione risponde al nome di Red Krayola, la mente dietro, quella di Mayo Thompson, cantante, freak-visionario e alquanto allucinato, insomma un geniaccio. I Red Krayola rappresentavano l’altra via psichedelica, il vero rock d’avanguardia, l’alternativa “colta” ai figli dei fiori californiani, dalle interminabili sessions.

Il loro secondo album, dal titolo vagamente mistico, “God Bless the Red Krayola & All Who Sail With It”, è secondo me, il punto più alto raggiunto dal gruppo, è una vera e propria perla di rock sperimentale, blues psichedelico e sghembe ballate acid-folk, degne del miglior Syd Barrett. E’ un disco che sicuramente precorre e anticipa i tempi, ogni traccia è indicativa di un genere musicale che verrà approfondito da altri gruppi in futuro, specie della scena indie americana.
Non solo i generi su citati, ma anche paradossalmente free-jazz, industrial, folk- rock, proto-punk e kraut-rock trovano spazio nel calderone dei Red Krayola; il tutto sempre mescolato con una conoscenza approfondita e una devozione viscerale dello sperimentalismo e del minimalismo d’inizio secolo: Varese e Cage su tutti.

Una visione della musica totale e di approccio alla sperimentazione in generale, che spesso ha fatto affiancare, giustamente a mio avviso, il nome dei Red Krayola, e di Thompson in particolare, a quello di Frank Zappa. Le canzoni del disco in questione, tutte molto brevi, quasi dei frammenti illuminanti, sono alternate con pezzi solo ed unicamente strumentali, condensano in poco tempo un infinità di emozioni e trovate geniali, formando delle vere e proprie suite psichedeliche, affreschi schizzati. Tutto il disco è attraversato da una sfrenata creatività: melodie originali, frenesie percussive e pura improvvisazione jazz-noise che spiazzano già dal primo ascolto.

Io ve lo consiglio vivamente, poi fate voi.

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