Uno “sporco lavoro” , quello che probabilmente è l’album più sottovalutato degli Stones. Sicuramente perché giungeva in un periodo di crisi acuta fra Jagger e Richards, oltretutto è il successore di “ Undercover” , un disco che certo non aveva soddisfatto i palati dello zoccolo duro dei fans. Invece, a mio parere, è un buon album di robusto rock-blues, anche perché finalmente Keith Richards si era deciso a prendere in mano le redini musicali del disco, lasciando pochissimo spazio alle manie discotecare e danzerecce di Mick Jagger, che pure in questo album dà il suo apporto con una serie di prove vocali comunque massicce e all’altezza delle varie situazioni.

Dirty Work” mette da subito le carte in tavola con “One Hit (To The Body)”, un pezzo in piena tradizione stoniana con le chitarre acustiche iniziali che si intrecciano subito con le elettriche di Richards e di Woody che poi battagliano per tutto il pezzo. Riff convincente e puro spirito battagliero da rock’n’roll quello che accompagna la canzone. Un pezzo piuttosto duro è anche “Fight” , anche qui rock veloce e sparato, mentre il pezzo di punta dell’album, la cover “Harem Shuffle” , un brano degli anni ’60, è assai meno incisivo e marcato, anche se dal ritornello orecchiabile e “vendibile” . E’ l’unico singolo dell’album ed è stata l’unica canzone di questo disco a volte ripresa in concerto dai Rolling Stones nei tour a venire, peccato però. Si ritorna subito dopo al rock duro e puro con “Hold Back” , mentre poi Keith Richards dà libero sfogo alla sua passione mai nascosta per il reggae e il dub con “Too Rude”, un bel brano che poi verrà ripreso anche dallo stesso Keith con i suoi X-Pensive Winos nei concerti che promuoveranno i suoi due album solisti, “Talk Is Cheap” e “Main Offender”.
A seguire due pezzi secondo me piuttosto debolucci con “Winning Ugly” e “Back To Zero” , che personalmente mi dicono assai poco, mentre il rock-blues torna infuocato con la title-track “Dirty Work” , dove assolutamente egregio è il lavoro di Ronnie Wood alla chitarra solista e pienamente all’altezza è l’interpretazione vocale di Mick Jagger, che impreziosisce il tutto con un efficace assolo di armonica. Infine il pezzo conclusivo è cantato da Keith, si intitola “Sleep Tonight” , ed è una delle ballate più belle e soffuse incise dai Rolling Stones, con una voce triste e malinconica che sembrava messa lì apposta per dire “addio” . Invece è stato solo un “arrivederci”, un qualcosa che avrebbe dovuto essere un epitaffio su una gloriosa carriera, invece è risultato un disco che dovrebbe essere rivalutato, tra le altre cose è una commossa dedica a Ian Stewart, il “sesto Stone” che proprio durante le sessions parigine di questo disco ha improvvisamente lasciato questo mondo a causa di un infarto (“thank you, Stew, for twentyfive years of boogie-woogie” è la dedica nelle note di copertina).

Di lì a poco Richards inizierà una breve discografia solista dove svilupperà ancora più a fondo quanto fatto in questo disco, mentre Jagger tenterà con scarso successo di proseguire la carriera solista iniziata con “She’ s the boss” . Poi, convinto dagli scarsi risultati (buono solo l’album del ’93 “Wandering Spirit” ), tornerà docilmente all’ovile.

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