Preferisci i Beatles o i Rolling Stones? Questa domanda ricorrente e stereotipata (come se si chiedesse se si vuole più bene a mamma o papà?) non mi ha mai preso più di tanto (e personalmente ho sempre avuto una certa propensione per gli Who) Ho sempre pensato che Beatles e Rolling Stones siano stati i lati della medesima medaglia ovvero il cuore del rock dagli anni 60 in poi Se i primi sono sempre stati stilisticamente più eclettici, i secondi si sono dimostrati propensi ad una maggiore ortodossia verso le radici del rock ovvero il blues che è alla base di tutta la musica afroamericana, la musica del Novecento. Semmai è certo che, ad un certo punto della carriera degli Stones, prima di iniziare uno degli innumerevoli concerti fossero presentati dallo speaker di turno come "the greatest rock and roll band in all over the world ". La roboante definizione, coniata all'inizio degli anni 70, mi è venuta in mente proprio mentre lo scorso settembre ho acquistato, in formato cd, la versione remixata de luxe di "Goats head soup" (album inciso nel 1973 di cui avevo già copia in vinile) inclusiva anche di outtakes e rarities gustose. Non che la suddetta definizione non fosse stata ampiamente meritata dal gruppo all'inizio dei 70, ma è pur vero che con la pubblicazione di "Goats head soup" qualcosa si incrino' nell'aura magica del gruppo dopo 10 anni di intensa e felice attività . Ma proprio questa ristampa a distanza di 47 anni dagli eventi, mi consente un'analisi più ponderata dell'opera dopo che il polverone delle polemiche si è posato da tanto tempo.
Indubbiamente occorre tener presente il contesto di quel periodo. Proprio all'inizio degli anni 70 la scena rock era stata scossa dall'annuncio dello scioglimento dei Beatles, gruppo leader della musica giovanile degli anni 60 Quale migliore occasione di questa si profilava per gli eterni secondi (i Rolling appunto) per acquisire lo scettro del primato sulla scena rock? Facile forse sulla carta ma nella pratica il rock viveva una fase molto tumultuosa e ricca di nomi e sorprese. La concorrenza verso i Rolling Stones era di tutto rispetto e non si trattava solo dei sempreverdi Who, ma a farsi sotto erano gruppi come i Led Zeppelin, Deep Purple per non dimenticare poi tutto l'ambito catalogato come progressive rock con band ambiziose e di grande richiamo come (solo per citare alcuni nomi ) Emerson, Lake and Palmer, Yes, Genesis oltre al glam rock espresso da artisti come David Bowie, Elton John, Lou Reed e formazioni come T. Rex. E come se non bastasse questo scenario generale, si deve ricordare il clima interno ai Rolling. Dopo la scomparsa di Brian Jones nel 1969 e la sua sostituzione con Mick Taylor (chitarrista dallo stile elegante ma non assimilabile al ruolo di polistrumentista tipico di Brian ) la band viveva soprattutto per le grandi doti compositive dei Glimmer Twins ovvero Mick Jagger e Keith Richards . I quali attraversavano, però,, una fase particolare : mentre il primo era assorbito anche dalle frequentazioni dell'allora jet set internazionale, il secondo stava rischiando grosso per l'uso ed abuso di sostanze stupefacenti (e fra queste l'eroina) . Le prove discografiche dei primi anni 70 (dal live "Get yer ya-ya's out" fino ad "Exile on main street "e passando da" Sticky fingers ") testimoniavano ancora lo stato di grazia compositiva della band, all'altezza del mito. Arrivati all'anno di grazia 1973 (dopo la trionfale tournée negli USA nell'anno precedente ) i Rolling si concentrarono, come da routine, nella composizione di un nuovo lp dal titolo "Goats head soup ". E la mia impressione (la stessa provata anni fa ascoltando il vinile ) è che trovarsi in Giamaica a comporre abbia rilassato troppo i Rolling Stones, certamente non indifferenti alle meraviglie naturali della zona (mare dai colori strepitosi cangianti dal blu cristallino al verde turchese) e ampiamente soddisfatti sia per le creazioni musicali precedenti, sia per i conseguenti guadagni finanziari (infatti erano esuli dal Regno Unito ove vigeva una pesante esazione fiscale..) . Ecco pertanto un album musicale contraddittorio , contraddistinto sia da brani tutto sommato ancora degni di cotanto gruppo, sia da tracce prive di mordente, tanto da generare il dubbio che al posto dei Rolling ci fossero in sala d'incisione dei loro scialbi replicanti.
Il brano d'apertura "Dancing with Mr. D" (titolo ambiguo in quanto D è l'iniziale sia di "devil" diavolo, sia di "death " morte ) ci immette in un'atmosfera da rito voodoo febbricitante e perversa , ma gli accenni nel testo a veleni, teschi e satanismo mi sembrano sopra le righe, come se gli Stones volessero calcare la mano sul tema del male senza raggiungere i livelli eccelsi di "Simpathy for the devil" capolavoro dell'anno 1968. Da qui in poi le composizioni presentano una resa altalenante. A volte pur partendo bene, non si chiudono altrettanto egregiamente . È il caso di "100 years ago " Che esprime bene il rimpianto per i bei tempi passati (notare bene che a un certo punto Mick canta "call me lazy bones ain't got no time to waste away" una specie di lapsus freudiano per un tipo iperdinamico come il suddetto ) che costituisce una ballad bella e sincera sostenuta dal tessuto tastieristico di Billy Preston e da un bell'assolo di Mick Taylor nella parte finale che viene però sfumato (forse non si voleva concedere troppo spazio al secondo chitarrista del gruppo?? Ironia della sorte visto che Keith non era al top della forma musicale a motivo dei suoi guai con droghe varie pesanti .). Per trovare tracce all'altezza dei migliori Stones bisogna semmai passare a "Doo Doo doo (Heartbreaker ) " il cui testo è un'accurata descrizione del malessere sociale yankee (polizia a New York dal grilletto facile allora come oggi, ragazzine tossicodipendenti trovate morte per overdose in squallidi vicoli suburbani ) oppure tracce intinte nelle radici blues (e riecheggianti certe atmosfere di "Exile on main street" ) come "Hide your love" o "Silver train " (questa splendidamente ripresa da Johnny Winter). Anche "Starfucker" brilla per il richiamo allo stile r'n'b di Chuck Berry uno dei maestri rock su cui si sono formati gli Stones (il testo è decisamente pornografico e non ci risparmia i dettagli delle prodezze erotiche della protagonista, una groupie a caccia di divi del mondo dello spettacolo). Un guizzo di originalità, infine, lo si trova in un'altra ballata molto ispirata come "Winter " ben orchestrata e dal sound levigato (una caratteristica saliente in tutto l'album, per questo in antitesi al sound sporco e cattivo presente in "Exile on main street "), azzeccata nell 'evocare un' atmosfera invernale giù in California, con Mick Jagger che esprime il desiderio di abbracciare la persona amata per dare e ricevere calore (magari in inverno il buon Mick si potrebbe presentare come una specie di Santa Claus, incredibile ma vero .) . Molto romantico senza essere eccessivo Purtroppo lo stesso non si può dire di canzoni come "Angie" (ballata deboluccia che fa rimpiangere "Lady Jane" o "Ruby Tuesday" ballads misurate nell'esprimere un trasporto sentimentale ) o "Coming down again" (si sapeva che Keith Richards, sotto la scorza dura del rocker, ha un'anima romantica espressa al meglio in "You got the silver " ai tempi di "Let it bleed" ma qui è troppo sovraccarico e si dilunga e sdilinquisce troppo ). Mi pare che in questi episodi gli Stones abbiano ecceduto nell'impiego di saccarina ed il palato, anche quello musicale, si impasta troppo. Deludente anche la traccia "Can you hear the music?" che dovrebbe evocare l'influsso esercitato dalla musica su noi ascoltatori, ma la composizione non smuove più di tanto, dal nulla viene e lì fa ritorno . Nella versione remixata de luxe oggi in commercio però qualcosa di interessante ed inedito c'è e se "Scarlet ", che vanta la collaborazione di un chitarrista come Jimmy Page, non è poi così trascinante ed ammaliante , lo stesso non si può dire di "All the rage" è "Criss cross", brani almeno dal ritmo martellante ed indiavolato tanto da indurre al ballo anche ascoltatori sonnolenti, oltre a suggerirci la perplessità per il fatto che siano stati poi scartati dalla track list definitiva del disco. Probabilmente sta qui la chiave interpretativa di "Goats head soup" e dei Rolling Stones da questo momento (1973 ) in poi : una band non più nel ruolo di battistrada dell'evoluzione del rock , ma pur sempre in grado di sfornare dischi tecnicamente impeccabili (quasi procedesse in modalità pilota automatico). Di ciò non ci sarebbe ormai da rammaricarsi perché l'approccio innovativo al rock e dintorni passa ad altri (e chi, punk o no, vorrà farsi portavoce della rabbia giovanile, come fecero i Rolling ai tempi di "I can't get no satisfaction", avrà strada libera..).
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