Correva l'anno 1989 e il mondo nutriva fortissimi dubbi sul futuro delle Pietre Rotolanti. Jagger si era prodotto in un paio di album solisti non eccelsi (anche se il primo, "She's The Boss" aveva venduto scandalosamente) e anche Keith Richards aveva iniziato una specie di carriera autonoma con gli X-Pensive Winos, suggellata da un discreto album chiamato "Talk Is Cheap".
Non voglio stare qui a disquisire se siano stati i soldi, con la prospettiva di incassi enormi, o la effettiva voglia di continuare l'avventura insieme, ma questo "Steel Wheels", pur non essendo uno degli album migliori degli Stones, è un lavoro dignitosissimo, che mostra le Pietre in buona forma.
Tra l'altro, ed è una cosa che ho notato anche nei loro album meno ispirati, anche qui ci sono comunque almeno tre-quattro pezzi che "tirano" di maledetto, e comunque il marchio di fabbrica "Rolling Stones" si sente in quasi tutto il disco. Per il sottoscritto, stoniano quasi di ferro, è una garanzia di qualità.
Già l'apertura, con il riff classicissimo di "Sad Sad Sad", è uno di quei pezzi che ci fa dire: "Sì, sono proprio loro, sono tornati!", "Mixed Emotions", il pezzo trainante del disco, è uno dei loro brani commerciali meno furbetti e più ascoltabili anche a lungo termine. "Terryfiyng" è un funky-r'n'r che ci mostra un Jagger abbastanza ispirato e degli ottimi inserti chitarristici di Woody e di Keith. Per la verità bisogna dire che, in via eccezionale, pure Mick Jagger suona la chitarra in questo album, e così pure nel tour seguente lo si vede a volte strimpellare chitarre elettriche.
Non mancano poi le classiche ballatone come "Blinded By Love" e "Almost Hear You Sigh" (che infatti fu il secondo singolo). Il pezzo più ballabile, anche se stavolta il tutto rimane in un ambito strettamente rock, è "Hearts For Sale" che è ancora adesso uno dei brani del disco che ascolto più volentieri, con un superbo assolo di chitarra da parte di Ronny Wood e una bella prova anche della sezione ritmica, buono anche l'apporto di Keith Richards con il puro rock'n'roll di "Can't Be Seen" e soprattutto con l'incantevole ballata finale "Slipping Away".
Il brano di punta, per me, è "Rock And A Hard Place", pezzo con un ritmo bello tirato e con chitarre sfavillanti, brano stoniano fino al midollo. Fino ad allora è stato l'unico loro pezzo con qualche pur vago riferimento al sociale, dove i cinque mostrano alcune riserve su manifestazioni come il "Live Aid" o come lo "Human Rights Now", dove si dubita della reale voglia dei protagonisti di fare beneficenza piuttosto che di farsi un po' di pubblicità gratis (oddio, che questa predica venga dagli Stones, viene un po' da dire "da che pulpito" ma vabbè...), il pezzo è comunque molto bello e tanto basta.
C'è poi una curiosa ma un po' pesante incursione nell'etnico con i Masters of Pan, che già avevano collaborato a suo tempo con Brian Jones, con una stranissima "Continental Drift", un cui estratto rimarrà come apertura dei concerti dello "Steel Wheels Tour" e dello "Urban Jungle Tour" (l'anno è lo stesso, il 1990, ma il tour americano e il tour europeo avevano due nomi differenti). Infine c'è anche un po' di rockabilly, per quanto schizzato, con "Break The Spell".
Non è un album indispensabile nella ormai quarantacinquennale carriera del gruppo, ma è comunque un buon disco che si lascia ascoltare volentieri, e d'altra parte è l'unica cosa che si può ancora chiedere a un gruppo che ha largamente fatto la sua storia da ormai una trentina d'anni. Se i risultati fossero scarsi gli si può pure chiedere un pensionamento, ma con dischi come questo che, lo ripeto, è ben lontano dall'essere un capolavoro, possono benissimo portare avanti con orgoglio il loro mitico nome.
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