Come recensire un disco che è diventato leggenda nel corso degli anni? Un buon rocker sa quanto può valere un disco così, a cominciare dalla copertina. Gli Stones prendono la copertina del disco "banana" dei Velvet Underground e ne danno una loro interpretazione nel loro stile; non ci vanno tanto attorno, per loro la "banana" altro non è che il "pacco" davanti in jeans attillato. E mentre all'interno del disco dei Velvet avevamo la banana sbucciata, all'interno di Sticky c'è tanto di mutanda con membro attivo.

Va da sè che i monellacci non sono mai andati per il sottile; mentre in quegli anni il progressive comincia a fare bella mostra di sè, gli Stones consegnano un album dal consueto suono zeppo di blues, grezzo e senza fronzoli.
Mentre Exile era una bella festa, quasi un documento ripreso in forma libera e spontanea, qui si rientra nei ranghi ma il risultato è ancora sbalorditivo.

Si parte con un bel riffettone di Keith e non un pezzo qualunque ma "Brown Sugar"; il fido Bobby Keys soffia forte nel sax dando al pezzo una buona dose di soul.
Si continua con "Sway": suono solido e compatto e la chitarra di Mick Taylor si destreggia con sicurezza e maestria.
"Wild Horses", della serie sotto sotto (ma molto sotto) i duri hanno due cuori, con quello buono amano un pò di più (Ligabue docet). I duri, in questo caso gli Stones, sono capaci di farci sognare, Keith arpeggia da Dio e il ritornello cantato dai Glimmer Twins dà i brividi.
In "Can't You Hear Me Knockin'" ennesimo intro con riffettone in pieno stile Richards, dopo, quando sembra che i giochi son fatti, i monellacci ti tirano fuori qualcosa di magico, tra percussioni, sax e chitarra di Taylor che vola in alto verso lisergiche emozioni.
"You Gotta Move" hey, cosa avevate capito? Non ci siamo dimenticati del blues, è una malattia, ce l'abbiamo dentro come un cancro, ed eccolo spiaccicato qui,rurale al punto giusto. "Bitch" il titolo tutto un programma, la misoginia di Jagger spiattellata in tutta la sua sfrontatezza, i fiati fanno buoni contrappunti.
"I got the blues" tutta la magia degli Stones, un brano che avrebbe fatto arrabbiare d'invidia Otis Redding. Quando parte Billy Preston all'hammond si rischia l'infarto, gente!
"Sister morphine" con la presenza di sua maestà Ry Cooder e, per finire "Dead Flowers", forse la cover più gettonata tra le roots band americane, forse perchè indirettamente rimanda alla grande amicizia di Keith con Gram Parsons.
Finale in bellezza e grande eleganza con "Moonlight Mile"; c'è qualcosa in questa canzone che rimanda indietro con la mente, agli Stones di Aftermath, a quel British sound che hanno attraversato anche solo marginalmente.

Complessivamente per i neofiti si può tranquillamente dire che l'intero disco è godibile persino in macchina, e unire godibilità e qualità sappiamo che non sempre avviene. Ogni brano fa storia a sè, difficilmente gli Stones toccheranno certe vette. E ricordate che per passare l'esame del buon rocker dovete saper apprezzare un disco così.

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