1987, etichetta Happy Squid di Pasadena, perciò California, e i Rub ubicati tra Torrance e San Pedro (c'è pure disegnata la cartina nell'inserto interno): Tim Baker alla batteria, Dan Duarte chitarra e voce, Eddie Mooney al basso e ancora voce, imbastiscono questo "crimine" dinamitardo buttando giù sto popò di Lp sulla strada che dall'oceano porta al Mojave, nel deserto.

Qua bisogna mettersi in testa una volta per tutte che ci sono due categorie di esseri umani, quelli che competono, che "giocano" a vari livelli di possessione, praticamente quelli assunti dall'inganno, e quelli che sono arrivati ad un punto tale di evoluzione animica che invece non giocano più, semplicemente non gliene frega uno stracazzo di niente e per far passare il tempo di un'ennesima reincarnazione che sbomballa i coglioni, vista la manifesta superiorità divina, si trastullano nella loro luce interiore ingannando il tempo, magari chessò, strimpellando casino.

E più si avanza nell'illuminazione più si sceglie una via "stracciona" nel diluire la portanza della luce che ci accompagna. In questo caso in antitesi alla copertina che trasmette un messaggio "no future" con quel fungo, le gore heads di una Pasqua aliena e la bellezza plasticata del nostro ego semisotterrato da una sabbia radioattiva sotto spoglie di una Barbie, contrappongono il retrocopertina con la presa per i fondelli di un ludo millenario che si presenta sotto forma di un punk rock garage suonato come Cristo comanda, suonato daDDio: sorriso ghignoso, stelle filanti scintillanti e presenza di colomba bianca che ci indica la giusta via di una musica di reietti, di puri rockettari, di chi ha lasciato giudizi e considerazioni e sguazza nel fango come Cleopatra si faceva il bagno nel latte.

Il disco è un'apoteosi, un primo ascolto non coglie appieno quello che ci combinano sottocoperta questi dissimulatori. E andateveli a sentire attentamente quei giri di basso, e realizzate tutte quelle variazioni della batteria sul ritmo base, e cercate di stare appresso ai cambiamenti repentini della chitarra con annessi assoli liquidi, e voce e testi che denunciano disincantati le stupidaggini di cui siamo circondati. Sferzate di ironia trascendente che passa da una sorta di punk evoluto, viste le evoluzioni compositive.

Ed il bello è che non si risparmia nessuno, specialmente loro stessi, nel calderone che piano piano cucina tutti ma che rifiuta con una pernacchia il gioco al massacro del tritacarne americano. Bon appėtit!

Carico i commenti...  con calma