Tante volte è inutile arrovellarsi alla ricerca di soluzioni complesse e fantasiosamente elaborate. Occorre rispolverare e rileggere i principi logici che stanno dietro al rasoio di Occam e il gioco è fatto. A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire. That's all, folks. Non si è mai chiesto troppo dallo screamo. Pensateci. Che si parli di Funeral Diner, di Jerome's Dream o di Amanda Woodward, giusto per citare tre nomi che lo interpretano in modo del tutto personale, c'è sempre una sottile linea comune e rintracciabile che li contraddistingue. La trovate nei tre gruppi che ho appena citato, ma anche in tutti gli altri devoti a un'attitudine DIY e consci di trovare nello screamo la soluzione perfetta, non tanto per poter metter in mostra delle certosine qualità tecniche, ma piuttosto per sviscerare demoni interiori attraverso l'andamento schizofrenico di melodie capaci di impregnarsi di lacrime e sudore. Sì, Winston Churchill ascoltava i Pg.99 se ve lo state chiedendo. In parole povere, senza più inutilmente girarci attorno, a quale nozione così elementare mi sto riferendo? Beh, la chiave di lettura è la passione. Suona ridondante? Ve lo concedo. Soprattutto all'alba del 2015, citare simili concetti pare d'esser un musicista d'altri tempi o alle prime armi, ma lo screamo si nutre, respira e vive di passione. Non può essere asettico. Per definizione ci deve essere una componente emozionale. Anzi, aggiungiamoci un "forte". Una forte componente emozionale. Qui entrano in scena dal Massachusetts, tra l'altro terreno fertilissimo per la materia, i The Saddest Landscape. Si sono spente tutte le luci che esilavano gli ultimi sussulti ("After the Lights" del 2012) e ora c'è solamente l'oscurità che avvolge e perdona: "Darkness Forgives".

Non voglio tenervi con il fiato sospeso, in quanto mi sembra giusto rivelarvi subito dove voglio andare a parare. "Darkness Forgives" è una chicca per cui occorre ringraziare la Topshelf (e anche maledirla, per via del delay sulla release del vinile -ma questa è un'altra storia-). Ovviamente i The Saddest Landscape non hanno bisogno di spiegazioni. Sono dei capisaldi della scena americana dei primi anni 2000, ma qui, forse, dopo tanti anni, rifinendo man mano il loro sound, accorgimenti dopo accorgimenti, hanno potuto esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. La ricetta è talmente essenziale, quanto difficile da realizzare per chi non possiede i giusti ingredienti, ma questi ragazzi della East Coast, sanno di gran lunga il fatto loro. O meglio, i The Saddest Landscape pur rimanendo fedeli all'underground hanno tracciato i solchi per tutta la nuova generazione che vuole dilettarsi con screamo e post-hardcore. Non sorprende affatto che dunque "Darkness Forgives" sia un ingranaggio oliato alla perfezione che, una volta sciolte le briglie, è un'accelerazione costante fra scenari introspettivi e furiose melodie dedite a saturare d'adrenalina il sangue che scorre nelle vostre vene. Non c'è pessimismo cosmico leopardiano. Non c'è una feroce e incondizionata resa. I The Saddest Landscape sono nostalgicamente speranzosi. C'è pure lo spazio per commemorare amici che non ci sono più, vedi la dedica al prematuramente scomparso Jason Rosenthal in "'Til Our Ears Bleed". Ecco, qui mi fermo, perché in questi quattro minuti e mezzo si condensa il significato di cosa sia la musica dei The Saddest Landscape. Davvero. Ascoltatela e capirete a cosa mi riferisco. Non ci sono urla strazianti e cripticamente irriconoscibili. Andy Maddox declama i testi con un'inscurezza che pian piano lascia spazio a una voce che, prendendo coraggio, trascina nel bel mezzo del caos strumentale che regge le fila del suo sfogarsi. Una sorta di spoken word sbilenca incrocia la strada di un tormento che per più d'una volta si prende il suo giusto tempo spezzando la frenesia altrimenti fuori controllo che i The Saddest Landscape sono capaci di partorire. Si riordinano le idee, fra escalation roboanti e sussulti di fragili chitarre che hanno la meglio sull'irrazionalità hardcore.

Il periodo autunnale che circonda la release di "Darkness Forgives" è maledettamente azzecato. È un incastro perfetto, in quanto il mood e l'atmosfera che lo permeano son paragonabili agli sbalzi e ai cambi stagionali. L'autunno con i suoi contrasti cromatici è la giusta metafora della varietà che i The Saddest Landscape regalano, cercando con ogni forza in corpo, di opporsi al loro stesso monicker (che poi, a dire il vero, deriva dal Piccolo Principe). Non è un'esasperazione che dichiara un fallimento, ma piuttosto è volta a un voler trovare una luce nel buio più completo, proprio come la copertina ben esemplifica. Lì, nelle insicurezze e nelle paure di una notte in cui si è soli, c'è sempre da portar con sé un qualcosa che possa aiutare a superare difficoltà e intoppi. Un bagliore che illumina e cerca di chiarire l'indefinito che ci circonda nel quotidiano. Di questo parlano le canzoni dei The Saddest Landscape. Narrano dell'andar oltre le avversità imprevidibili e, in questo, il calore delle melodie che riscaldano gli attimi più intrepidi e concitati di "Darkness Forgives" sono un promemoria essenziale. Un fuoco che arde e che instancabilmente non vuole morire. Ci si può bruciare, certo, ma si guarisce e si reagisce. Gli allarmanti intrecci si tessono e scuotono, colpendo il bersaglio con facilità, nell'ossessivo pulsare dellle schegge che i The Saddest Landscape sferrano. E con questo è tutto, perché "Darkness Forgives" è speciale, ma realizzato senza appariscenti architetture e sfarzosi abbellimenti. È crudo. È viscerale. È vissuto. È screamo.

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