È un’impresa veramente improba parlare di questo lavoro… realizzato a quattro mani dal leader dei Karate, Geoff Farina e dalla sua ragazza di allora Jodi V. Buonanno (no, purtroppo non siamo in Italia, ma a Boston - Massachussets U. S. A.). Difficile perché questa che ho tra le mani (e che spero abbiate la possibilità di reperire - non molto facilmente) è una raccolta di lavori scritti e composti in un arco molto lungo di tempo (dal 1989 al 1997) con diversi collaboratori/amici e dall’andamento molto MOLTO altalenante.

Premessa. Ho avuto la fortuna di vederli all’opera dal vivo (e di conoscerli anche artisticamente) in una fredda notte di un lontano inverno in un piccolo meraviglioso locale, il Perché No? Di Verbania (”Ridente” cittadina sulla riva occidentale del Lago Maggiore), che purtroppo oggi non esiste più; e vi garantisco che la resa delle tracce di questo cd non ha nulla da invidiare a quella che i due ci regalarono in quella notte speciale. “Genealogies” è per ammissione stessa dei protagonisti “un grazie a chi ha contribuito a questo disco, a quelli che lo hanno reso possibile ed a colori i quali che con il loro amore hanno costituito le nostre genealogie”. Uno stupendo atto d’amore. “Haphazard Joy” ti mette subito all’erta, con la voce metallica di Jodi confusa in un rumoroso brusio di transistors all’apparenza mal funzionanti e che ti fa sentire scomodo anche sul tuo divano preferito… e proprio mentre stai meditando di alzarti arriva uno stacco secco ed entrano nel tuo mondo le dolci melodie prodotte dalle due chitarre Fender Mustang e Silvestone Coat Of Arms che accompagnano la voce morbida e rassicurante di Geoff attraverso “Shoe In” e “Melt” in un’atmosfera rarefatta e delicata. Atmosfera che si sposta solamente di un piccolo passo verso il disagio con il ritorno della voce di Jodi in “N29, It’s Alright” a formare un trittico post-rock (che brutto classificare la musica per generi, me è così comodo) di livello sopraffino. E quando tutto sembra stabilizzato su lidi tranquilli… BANG!!! arriva un pezzo come “Can You Feel It?”, il quale nella discografia di Patty Smith non avrebbe nessun problema a trovare un posto di rilievo. Così come la successiva “The Four Senses” sembra essere una traccia dimenticata (e non se ne capiscono le ragioni) dagli Slint al momento della compilazione di “Spiderland”. Tensioni ed ossessioni da fine millennio pervadono “SERC”, anche se qui la voce di Jodi si fa molto femminile (materna) e sembra volerci rassicurare che tutto sta andando bene, che non è in vista nessuna tragedia; che però subito ci precipita addosso in “Sister, Brother” dove da materna le voce della cantante si trasforma in quella di un’amante indispettita, che freddamente ci mette faccia contro il muro leggendoci nel pensiero “I seek the urgency in your mind, to change how we are defined" … sospinta da un incalzante blues lo-fi dalla batteria ossessiva… PAUSA PLEASE (siamo solo a metà...!)

Si ricomincia con “Trance Hall Storm” poco più di due minuti e mezzo di segnali captati dal profondo spazio (realizzati manipolando, con un registratore Ampex 456 ¼, una Farfisa modello Kara !!!!!!!!!)… e la tensione aumenta quando le voci di Jodi (una metallica da un canale e dall’ altro a mo’ di cantilena) ti parlano delle esperienze della femminista Teresa Basilio a Porto Rico, e di quanto queste l’abbiano ispirata, accompagnate da una chitarra secca e poco conciliante in “5, 000, 000, 000” . Ma la tensione ancora una volta viene smorzata dolcemente dalla voce e della Mustang di Farina, che ci dipingono una storia d’amore con sullo sfondo le note cantate, solo per i due protagonisti, da “The Voice” in “Some Sinatra” mentre, poi, la voce volutamente poco aggraziata di Jody ci riporta in tensione con il mondo circostante in “The Mode-E” anche grazie ad una chitarra grattugiata nervosamente: Suo perfetto contraltare è la successiva “The Vitamin-V” realizzata ancora morbidamente da Farina, magica nel suo incedere finale. E qui arriviamo direttamente allo spiazzamento più totale… “We Have Been Schooled By” è un esercizio di nervosismo sonico su un tappeto elettronico con la voce della Buonanno che dal profondo di una pozzo interpreta istericamente uno scritto di Penny Rimbaud dei Crass, originariamente interpretato da Eve Libertine (serve ancora sottolineare da sono stati “scolarizzati”...?). “Release Form” sembra un pezzo di Polly Jean Harvey completamente spolpato da rabbia e nervoso, rassegnato agli echi di guerre interplanetarie in sottofondo e la finale “Back In The Car” è l’ultimo gioiello che Farina ci regala, con quel suo stile inconfondibile ed ineguagliabile, composto per Jodi e per la Ford Tempo di sua nonna. Dopo le mie parole potreste pensare ad un disco discontinuo, più che altalenante, ma vi garantisco che le due anime che vi convivono sono perfettamente complementari e dipendenti una dall’altra, Farina vede il mondo con gli occhi di un ragazzo (uomo) tenero e sognatore, regalandoci piccoli racconti minimali sulla scia dei grandi scrittori americani del genere (Carver, Anderson, Fante… ) mentre Jodi Verbena Buonanno guarda le cose con la tipica tensione ansiosa di una ragazza (donna) e dipinge quadri a tinte forti sullo stile delle moderne poetesse statunitensi (la già citata Patty Smith, Laurie Anderson, Carole King… ) o forse no.

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