Arrivano al secondo album, che per definizione caparezziana è “sempre il più difficile nella carriera di un artista”, gli Shadow Line, quartetto di Roma, presentando il nuovo lavoro dal titolo "I Giorni dell’Idrogeno", un disco peculiare sotto vari aspetti.

Particolare innanzitutto perchè anche se la tracklist conti solamente 8 brani, la durata del cd supera i 40 minuti di musica: fatti due conti questo vuol dire che la media dei brani supera di poco i 5 minuti a pezzo. Sicuramente una scelta temeraria, per una band che comunque si muove musicalmente in un ambito che varia dalla new wave al pop dove impera il dogma del radio play: ritornello al primo minuto ed una chiusura forzata a tre minuti e mezzo, qualunque cosa accada. Invece gli Shadow Line rompono da subito le regole (La vita sognata, primo brano e biglietto di presentazione della band, presenta una struttura davvero non banale per cinque minuti e mezzo di durata), supportati soprattutto da una maturità compositiva invidiabile (strofe e riffs alla Manic Street Preachers, variazioni alla Radiohead) ed un certo gusto per arrangiamenti (conditi a volte da pattern di elettronica o synth, parti di pianoforte e voci stratificate) che risultano affascinanti, vertiginosi e mai scontati (vedi di nuovo alla voce Radiohead dei tempi di The Bends).

Inconsueto perchè per una band che affronta per la prima volta un’opera nella propria lingua (come è stato quest’anno per altri artisti indie come The Death of Anna Karina o i Gazebo Penguins) è altissimo il rischio di deludere alla prova della scrittura dei testi: invece canzoni come Settembre, Regole di Ingaggio o L’Estate in un Giorno mostrano la qualità di possedere dei testi dotati di empatia con l'ascoltatore, concreti e attuali, che riescono a coniugare critica sociale e quotidianità (e una strisciante malinconia, uno spleen di fondo) con il romanticismo, la disillusione e l’impressione che le stagioni ti scivolino sotto il naso mentre si rimane un po' appesi lì, a metà fra sognare e combattere. Una specie di secondo volume (parlando di contenuti), un sequel a dieci anni di distanza di quello che fu il "Sussidiario illustrato della giovinezza" dei Baustelle: in questo caso non si parla di episodi di una torbida adolescenza (come è stato per il Sussidiario), ma di scenari familiari ai trentenni di questi anni dieci: non si può rimanere indifferenti a versi che ti prendono in questa maniera, così intima.

"I giorni dell’idrogeno" è una serpe in seno all'indie pop italiano, con una “preoccupante” deriva verso una scena alternative: nuovo, attuale e concreto nei contenuti al pari dei lavori di Ministri, musicalmente solido e convincente, urgente nel suo modo di essere disperato e sognante allo stesso tempo.

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