Quando penso al termine "psichedelia" ci sono tre nomi che mi vengono subito in mente: Syd Barrett, Jerry Garcia e Jorma Kaukonen. Forse più nessuno ha saputo ricreare le atmosfere di album come "Aoxomoxoa" o "Crown of creation", capolavori irripetibili che hanno segnato un'epoca e "sdoganato" l'acid rock.

Ad Albuquerque, Nuovo Messico, il tempo forse si è fermato, irretito dalla polvere e dal deserto, e gli echi dei Grateful dead, dei Jefferson Airplane e dei Quicksilver Messenger Service sono ancora nell'aria, fluttuanti, come un lontano miraggio. E quegli echi James Mercer li ha ascoltati molto attentamente, senza dimenticarsi però di ciò che gli anni '90 hanno offerto al suo avido orecchio… Dinosaur jr, Sebadoh, Pavement, Meat Puppets, Husker Du, gli alfieri di quell'indie rock che per anni ha saputo dare linfa e ispirazione alla scena alternativa americana, lontano dagli strombazzati e spesso sopravvalutati nomi che servivano a riempire le date del Lollapalooza.

Nel 2001 il buon James, dopo la precedente esperienza nei Flake(poi Flake music), debutta con gli Shins dando alle stampe questo full lenght per la mitica Sub Pop. Un suono liquido, sospeso, sicuramente meno "lisergico" rispetto ai mostri sacri sopra citati, a tratti cantilenante e ipnotico ma con una componente country-folk più marcata rispetto alle successive produzioni "'Chutes too narrow" e "Wincing the night away", targate rispettivamente 2003 e 2007.

"Caring is creepy" e "Know your onion" sono due tributi nemmeno troppo velati a Jay Mascis e Lou Barlow, con quei ritornelli ossessivi che colpiscono in tutta la loro allegra giocosità. Rimandi ai Beatles di Sgt. Pepper e ai sempreverdi Beach Boys sono onnipresenti nel disco, se non palesi come in "Girl inform me" e "The celibate life", e una spruzzatina di Doors qua e là non si può negare ci sia. Ogni tanto fa capolino qualche inserto elettro-pop ("Weird Divide", "Girl on the wing", "Your algebra") ma senza stonare con l'atmosfera così ruffianamente low-fi che si respira in tutto l'album.

A tratti, ma non è certo un difetto a mio modesto parere, riportano alla mente i Mercury Rev di "Deserter's song" in una versione meno cerebrale. Per certi versi "Oh inverted world" è meno maturo rispetto ai lavori più recenti della band che, se mi passate il termine, sono molto più "smaliziati" e commerciali (non nell'accezione negativa), a tratti decisamente intimisti. Ma anche sforzandomi non mi riesce di considerarlo un gradino al di sotto dei suoi successori.

Deve essere quell'atmosfera cosi "sixties-oriented", quei coretti gioiosi, quel pizzicato che sa di dolceamaro e riporta alla mente colori e suoni di un' epoca che non tornerà più… sì, deve proprio essere questo che non mi fa togliere il cd dal piatto.

Un disco da ascoltare rigorosamente a occhi chiusi.

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