Nel periodo in cui i dissapori tra Andrew Eldritch e Wayne Hussey divennero palpabili al punto che i Sisters of Mercy si videro costretti ad interrompere il loro glorioso cammino - sulla metà dei gloriosi anni '80 - il tenebroso vocalist dalle folte basette decise di non restare con le mani in mano e di creare un immediato contraltare ai Mission, che il suo ex-socio stava portando agli onori delle cronache.

Il nome Sisters of Mercy, per le inevitabili beghe legali, restava congelato ed inutilizzabile, per cui Eldritch si inventò The Sisterhood: ovvero "la sorellanza", giusto per mantenere il concetto di base del progetto. E senza allontanarsi troppo nell'iconografia dallo stile che la band originaria aveva consolidato sul binario del dark britannico più schietto - ma rimaneggiando elettronicamente il sound - si dedicò alla produzione di un unico album infornando tutto ciò che avrebbe poi rappresentato una sorta di transizione tra il vecchio e il nuovo corso. Chitarre quasi abolite, molti synth, refrain tombali e ossessivi, la solita drum-machine detta Dr. Avalanche (in realtà un Drumulator della Emu System) e soprattutto una carrettata di ospiti più o meno accreditati che all'epoca fecero pensare a qualcosa di clamoroso. Alan Vega dei Suicide e Patricia Morrison dei Gun Club su tutti.

Va detto per inciso che Vega, in verità e a suo dire, ebbe un ruolo molto marginale nelle registrazioni e che fu invece la Morrison a dare il contributo più corposo; diventando non a caso un membro fisso nel prosieguo delle produzioni di Eldritch, quando il nome dei Sisters of Mercy fu finalmente riconquistato.

The Sisterhood a molti sembrò un'operazione personale e di riempitivo, come dire... per non restare con le mani in mano. La scarna scrittura di Eldritch dava l'impressione che una manciata di buone idee fosse stata annacquata e frammentata in quei cinque brani sicuramente troppo lunghi (alcuni superano gli 8 minuti); e che la formula ripetitiva di liriche sospese tra il profetico e il criptico non fosse altro che un pretesto per usare la voce. La track di apertura "Jihad" tira infatti all'inverosimile una melodia arabeggiante carica di riverbero che si snocciola tra numeri cabbalistici e cori elettronici su un tappeto di sequencer, che ricorda altri nomi meno noti della scena di allora. Solo dopo una decina abbondante di minuti, la tensione si stempera nelle apocalittiche gravità di "Colors", pezzo certamente più riuscito ed efficace che va ad innestarsi nel gusto futuro della band: non a caso venne pubblicato un anno dopo anche come b-side del 12" di "This Corrosion" e in alcune edizioni dell'album "Floodland".

Apice dell'album "Gift" è comunque la emozionante malinconica ballada sintetica "Giving Ground", che con sonorità d'organo e arrangiamenti meno aggressivi confeziona quella che credo fosse l'idea progettuale di Eldritch in quel momento; ovvero un'evoluzione meno new wave dei Sisters of Mercy, virata al gusto techno-industrial che cominciava ad essere nell'aria, ma con una vena poetica decadente.

A chiudere la noiosa e ossessiva "Finland Red Egypt White", che recupera qualcosa dei Kraftwerk in modo minimalista e poco avvincente; e quindi la biblica "Rain From Heaven", che pure in chiave ossessiva, riesce però a restituire un'immagine onirica delle visioni eldritchiane molto intensa, germinando su quel terreno che avrebbe generato un anno dopo "Floodland". Piogge torrenziali, alluvioni, fatalismo nero, nichilismo e disillusione si concentrano in un sermone che cresce piano piano e conclude coralmente a recitare quanto segue: as the water flows over the bridge, as we walk on the floodland, as we walk on the water, we forget we forget, rain from heaven.

Generalmente considerato un'opera minore e poco rilevante anche nella storia dei Sisters of Mercy, a mio parere "Gift" resta una testimonianza granitica - per quanto poco nota - delle incertezze e della fragilità che molte band dell'epoca dovevano affrontare. Epoca in cui i generi avevano ancora un'identità piuttosto marcata, ma che a fronte di immediati successi legati all'auge del fenomeno dark e new wave bruciavano idee e nomi ad una velocità vertiginosa. Tant'è che gli stessi Mission di Hussey ebbero vita breve e che i Sisters originari di Eldritch riuscirono a pubblicare un album nell'87, uno nel '90 e due raccolte, arrivando dunque ad oggi con 18 anni di promesse mai più mantenute.

A me Eldritch, comunque, è rimasto simpatico: artista coerente e iconografico da matti, gode di un livello culturale superiore alla media e ha sempre saputo incarnare la figura del perfetto crooner dark, a metà tra esoterismo western e dannazioni amorose urbane e post-atomiche.

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