Mi sembrava giusto chiudere la trilogia degli albums in studio dei Sisters of Mercy con la recensione di quello che fu da alcuni considerato come l’unico neo nella carriera della banda, ossia il discusso “Vision Thing”. Dopo l’ennesimo cambio di line-up, dovuto allo split della conturbante Patricia Morrison ed alla sua sostituzione al basso con Tony James, noto per aver fatto parte in giovanissima età della punk band di Billy Idol, ossia i Generation X, Eldritch spiazzò ancora una volta tutti i suoi fans proponendo loro un album molto differente dai due precedenti, caratterizzato dalla quasi assenza di riferimenti elettronici e da una decisa diminuzione del carattere gotico a favore di un sound rock più convenzionale, tant’è che lo stesso Andrew disse all’epoca di essersi ispirato in alcune composizioni agli ZZ Top.

Anche la stessa voce dell’angelo nero in alcune song è sensibilmente diversa da quella delle canzoni risalenti, come si evince dall’ascolto della title track che apre l’album, in cui si ode, forse, la prestazione canora più “arrabbiata” di Andrew che fa da contorno ad un giro di chitarra più rock che gothic, il tutto maestralmente prodotto da quel genio che risponde al nome di Jim Steinman (nota la sua collaborazione con Meat Loaf). La successiva “Ribbons” è la più dark dell’intero lavoro e si contaddistingue dal ritmo incalzante ed ossessivo della drum machine (ricordo che agli esordi Andrew suonava la batteria ma, data la non bravura dello stesso e la mancanza di fondi per reclutare un batterista vero e proprio, si decise di acquistare una batteria elettronica che fu considerata un vero e proprio membro della band e che fu appellata D. Avelanche), dal suono elettronico delle guitars e dalla voce di Andrew, profonda e cavernosa come ai bei tempi. “Detonation Boulevard” rispecchia fedelmente quanto detto a proposito del nuovo stile di “Vision Thing”. La cosa che più impressiona è la sua pacatezza in quanto trattasi di una canzone decisamente diversa rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare, distinta da un sound che ha perso ogni riferimento oscuro ed anzi, a ben ragione, si potrebbe affermare che è una canzone leggera, quasi scanzonata. Segue “Something Fast”, ballata malinconica, in cui è prevalente l’aspetto più romantico della voce di Andrew, accompagnata soltanto da un arpeggio di chitarra classica. “When You Don’t See Me” riprende il discorso di “Detonation Boulevard”, stavolta in chiave hard rock. Atmosfera tranquilla, cori pacati ma coinvolgenti, brano ben suonato. Con “Doctor Jeep” si riprende l’ossessività della drum e del riff di chitarra suonato all’infinito, ma a differenza che in passato, anche in questa canzone l’atmosfera non è lugubre ma quasi rilassata. Il punto più alto di questo “Vision Thing” lo si raggiunge con “More”, in cui si sente ancora una volta l’influenza della produzione di Steinman. Una cavalcata rock caratterizzata dal perfetto mix tra il suono hard delle chitarre, il potente incedere delle tastiere, la voce sopraffina di Andrew contrapposta alla pomposità dei cori. Chiude l’album e, purtroppo, la carriera discografica in studio dei Sisters la ballata “I Was Wrong”. La cosa che più emoziona di questa canzone è il profondo contrasto tra la pacatezza della stessa che lascia all’ascoltatore l’idea della continuità e della evoluzione artistica della band verso un suono diverso dal passato, e la cruda realtà rappresentata dalla consapevolezza che “Vision Thing” rappresenta l’ultimo capitolo della storia del gruppo.

In conclusione, anche se “Vision Thing” scontentò parecchi fans dell’epoca, a mio giudizio, non si può prescindere dall’ascolto dell’ opera in questione per comprenderne appieno la maturazione che, tristemente, si fermò in quel punto.

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