Gli Smashing Pumpkins arrivano con questo “CYR” al loro undicesimo album in studio, nonché secondo dopo lo strombazzato rientro in formazione dello storico (e fondamentale) chitarrista James Iha.
Billy Corgan e compagni tornano a cimentarsi, a venticinque anni da quel capolavoro epocale che fu “Mellon Collie And The Infinite Sadness”, con il formato del doppio album. I brani in questo nuovo lavoro sono infatti venti, e tutti accomunati da un minimo comun denominatore: le Zucche virano infatti con decisione verso il synth pop, genere per il quale il buon Billy non ha mai nascosto una particolare predilezione.
Il nuovo lavoro sembra infatti proseguire un discorso già accennato con il sottovalutatissimo “Adore” del 1998, e soprattutto con il suo ormai datato esordio solista “TheFutureEmbrace”; prendono campo i sintetizzatori, a discapito del marcato chitarrismo della band statunitense (confermato nello pseudo ritorno alle origini dell’opera precedente). Fa eccezione la scurissima “Wyttch”, uno dei cinque doppi singoli che hanno anticipato la pubblicazione di “CYR”, dove la chitarra di Iha e la pesantissima batteria di Jimmy Chamberlin la fanno da padrone.
Per il resto, synth e cori femminili (a cura di Katie Cole, già in tour con i Pumpkins da cinque anni, e Sierra Swan) vanno a costruire un sound perfettamente bilanciato (produce, brillantemente, lo stesso Corgan, dopo la parentesi Rick Rubin). Chamberlin inoltre, d’accordo con Corgan, ha scelto per “CYR” un suono di batteria reminescente di certe band prog rock dei primi anni settanta, molto secco e tirato, riducendo i fronzoli al minimo indispensabile.
Venti pezzi sono certamente tanti, ed in un paio di occasioni la tentazione di skippare si fa davvero forte (“Dulcet in E”, “Haunted”, “Tyger, Tyger”); ma quando Corgan ingrana la quinta e azzecca la melodia giusta, c’è da divertirsi davvero, come subito messo in chiaro dalla splendida opener “The Colour Of Your Love”, tra “Machina” ed i Cure, o dal lead single “Cyr”, forse il miglior estratto a firma Pumpkins da tanto tempo a questa parte (ed il suo posizionarsi tra gli Abba e le atmosfere di “Adore” aiuta parecchio).
Ma le cose buone non si fermano qui: “Purple Blood” è scura e minacciosa nel suo tappeto sonoro nebbioso ed inquietante, e Billy ovviamente ci sguazza come se fosse nel suo habitat naturale. “Save Your Tears” è l’highlight dell’album, tra le cose migliori negli ultimi quindici anni della band statunitense, mentre “Minerva” chiude un po’ a la Killers sfoderando il miglior refrain del disco.
I fans storici dei quattro di Chicago avranno di che lamentarsi, ma Corgan e soci sembrano andare dritti per la loro strada. Non resta che attendere il progetto più rischioso del calvo principe oscuro del rock, ovvero l’annunciato sequel di “Mellon Collie...”.
Lì si che il gioco si farà davvero pesante
Brano migliore: Save Your Tears
Carico i commenti... con calma