Volendo fare a tutti i costi una recensione di un disco degli Smiths, poichè "The Queen Is Dead", imprescindibile, era già presente, ero piuttosto indeciso tra il primo, bellissimo, omonimo e "Hatful Of Hollow", pubblicati entrambi durante l'anno di grazia 1984.
Alla fine ho optato per il secondo: nonostante il fascino del primo "The Smiths" rimarrà immutato nei secoli, se dovessi consigliare a un neofita da quale album partire per conoscere al meglio la storica band di Manchester la scelta cadrebbe senza dubbio su questa raccolta di singoli, b-sides e sessions radiofoniche che è da annoverare come uno dei punti più alti della loro intera discografia (non a caso Stuart Murdoch dei B 'n' S si è lasciato immortalare con indosso una maglietta raffigurante la copertina di questo disco). È l'album che proietta gli Smiths nell'iperuranio del culto underground, mantenendo quell'alone mistico e profondamente naif che in un certo senso svanirà con il successivo, più impegnato socialmente e politicamente, "Meat Is Murder". Questa è solo una gran bella raccolta di pop song, evocative, malinconiche, beffarde e a tratti assolutamente struggenti, come non se ne sentiva da nessuna parte a metà dei freddi ed elettronici anni '80.

Non so neanche fino a che punto dovrei avventurarmi a descrivere queste canzoni che, dal mio punto di vista, sono praticamente degli evergreen ormai da molti anni, e l'effetto che provo ogni volta che ascolto i primi 10 secondi di ogni traccia deve essere paragonabile a quello che provano i giocatori di calcio al risuonare dell'inno nazionale prima delle partite.
Posso solo affermare che davvero mi sembra strano come siano state piuttosto snobbate le perle degli Smiths all'interno di questo veramente lodevole sito: non per aprire una debole polemica, ma sinceramente non capisco come mai ancora nessuno (o quasi) non abbia sentito il bisogno di raccontare di quando ha provato i brividi sulla schiena la prima volta che ha ascoltato il ritornello di "Still Ill", che non abbia cercato di esprimere a parole la soave e bellissima malinconia trasmessa da "Reel Around The Fountain" (che in certi momenti è davvero ardua da ascoltare senza farsi scendere neanche una lacrima), che non abbia detto quanto abbia ammorbidito le proprie inquietudini ascoltare una canzone che, nonostante tutto, urlava che il cielo sapeva di quanto era infelice.
La prima fase dell'opera gestita da Morrissey e Marr era il sincero e soffocato bisogno di esorcizzare un disagio che, seppure focalizzato in un preciso e difficile momento storico (ossia l'epoca, disastrosa per il ceto proletario inglese, del Thatcherismo), si è poi assimilato anche negli anni successivi, attraverso i cambiamenti della società e della vita stessa di chi si confidava in quella timida e sperduta band proveniente da una grigia città industriale.

Forse perchè in fondo le emozioni umane sono sempre quelle, e chiunque prima o poi ha chiesto alla vita di potere ricevere ciò che si vuole: non posso sapere se questa preghiera laica sia mai stata esaudita, posso solo dire che a volte ci sono cose, o persone, che in ogni caso non ti fanno sentire solo.
Ascoltate questo disco.

Carico i commenti...  con calma