E' il 1966, ed il fenomeno Garage di li a poco si sarebbe spento, anzi mutato in quello che è definito Proto Punk, quando i Sonics pubblicano "The Sonics Boom" album che segue al sanguigno quanto irriverente "Here Are Sonics".
Nel loro primo lavoro la band di Tacama ci aveva illustrato i loro dogmi, il loro stile, la loro violenza ante litteram, con alla base un sano Rock‘n'Roll di stampo Berryano e in generale di tutta la fine degli anni 50 e dei primi '60. In questo LP cercano di evolversi rendendosi fautori di un lavoro meno aggressivo ma con l'accentuazione dei fattori Rock e Blues.
L'inizio è folgorante e senza simili all'interno dell'opera, 3 minuti di puro violento fulgore Punk, la voce di Roslie non abbassa mai i toni e si prodiga in un cantato durissimo, lancinante, intimorente, spezzato, a tratti, da urli e da brevi sezioni affidate alla chitarra, distorta e perversa quanto la voce. Una volta finito l'ascolto si rimane letteralmente sbigottiti dall'impatto devastante della traccia e ci si dimentica che siamo di fronte ad un componimento che oggi ha otto lunghissimi lustri e che Stooges e MC5 fra tutti dovevano ancora nascere, o erano ai primi passi… Si riprende immediatamente fiato con la cadenzata "Don't Be Afraid", traccia senza sussulti retta da un sostanzioso contributo della batteria e da rassicuranti e romantici note di chitarra nel sottofondo, sicuramente una canzone di valore storico.
A questo punto ci si spiega davanti a noi un trittico di canzoni piuttosto particolari, la prima "Skinny Minny" è un tipico Rock'n' Roll anni 60 trascinante, scanzonato con l'immancabile sezione di sassofono nel mezzo, la seconda è "Let The Good Times Roll" che ricalca la sua antecedente, ritmo ballabile R'n'R, sassofono, ma parte finale caratterizzata da trenta secondi in cui i nostri urlano un aggressivo "camon, camon", dove si può percepire tutta l'anima Garage che rispunta e sgorga, bollente e sporca. Infine la terza "Don't You Just Know It" più lenta delle precedenti e caratterizzata dal celeberrimo coretto che segue ogni parola pronunziata dal cantante tanto in voga all'epoca. Finita questa parentesi il disco entra nella sua fase più calda e ispirata, cominciando con uno dei suoi capolavori, "Jenny, Jenny" veloce, indemoniata, assordante, ci siamo è Garage Rock, Roslie torna ad avere un tono istrionico, perforante condito da urli, acuti cerberici a volontà supportato da infuocate melodie di tuonante, sano rock ancora una volta determinate principalmente dal Sax di Lind e dalla chitarra di Parypa. Non si riesce a stare fermi, la grinta nell'esecuzione sia vocale che ritmica si impossessa di te e fa scuotere il tuo corpo.
La furia non si placa anzi si accentua con la crudele "He's Waiting" dal sound decisamente Hard Rock, la voce è cattiva, non più istrionica, ma profonda e si adatta alle scale del basso e della chitarra, per sfociare in terrificanti urli alla fine di ogni refrain. Un brano di difficile etichettatura stilistica, sembra infatti infuso in esso una mistura di generi, oltre al G. Rock, che sarebbero nati sia in un futuro (allora) recente che lontano. Pressoché simile è "Louie, Louie" altra sfuriata dal marcato approccio hard con annesso un super assolo. Nella parte finale da sottolineare la ballatona "Since I Fell For You" e le bluseggianti "Shot Down" e "The Hustler".
"The Sonics Boom" può sembrare talvolta un disco ripetitivo, ma l'innovazione che portarono questi pezzi non ha eguali, si spazia dal Punk all'hard Rock passando per il Metal, senza dimenticare la base Blues e R'n'R, basta questo per rendere questo disco un capolavoro, a mio avviso però inferiore al primo, Voto 4,5.
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