"Non posso scappare da me stesso"

Il rock è una strana cosa. Scopri un artista piuttosto conosciuto, te ne innamori, compri i suoi cd (se qualcuno ancora lo fa) e li fondi letteralmente. Poi vieni a sapere che qualcuno, nel sottobosco, ha fatto qualcosa sullo stesso genere, magari anche nello stesso periodo, più intenso e sentito, e paradossalmente molto meno conosciuto. Non vi è mai capitato? Personalmente, sì, e questa ne è l'ennesima prova: adoro i Joy Division, ma da quando ho scoperto i The Sound ho potuto esplorare un lato della musica ancora più intenso, vibrante e disperato, ovviamente senza nulla togliere all'immenso gruppo di Curtis. 

Sonorità post-punk '77 e struggenti fraseggi di tastiere e sintetizzatori, per questo sfortunatissimo gruppo. Lo stile procede sul solco dei Joy Division; chitarre taglienti, batterie scarnificate al servizio di un suono cupo, ricco di riverberi, e paradossalmente anche pieno, quando entrano in scena le tastiere a ricamare struggenti melodie. Al contrario del suono dei Joy Division, più sporco, qua siamo di fronte a una produzione estremamente curata, precisa, pulita, nitida.

Undici tracce, quasi sessanta minuti e tra i tanti picchi qualitativi da segnalare, c'è l'introduzione, la splendida "I Can't Escape Myself". Angosciante, sempre sul punto di scoppiare in un ritornello fastidioso, che puntualmente viene abortito sul nascere. Indimenticabile il testo. Lui non può scappare da sé stesso, non ha mai potuto. Il cantante, nonché chitarrista, morirà suicida diciannove anni dopo (il disco è del 1980, anno glorioso per il genere di appartenenza) schiacciato tra le morse dell'indifferenza comune. Questo lavoro, e tutti i suoi in generale, venderanno una miseria, praticamente niente Forse questo ha spinto la sua autostima oltre il limite massimo, più giù di così non poteva scendere, uniamoci una dose di schizofrenia -certificata- e ci scappa il morto. La sorte (e la stampa, ovviamente) lo ha accomunato a Curtis, certo, ma sapete quanto gliene può fregare a lui, adesso? Un emerito...

Ma torniamo a noi. Le sorti degli artisti che ci piacciono sono sempre interessanti... Ma, parere mio, il cosidetto fanboysmo è piuttosto sconsiderato: moltissime persone soffrono tutti i giorni, e glorificare degli artisti "solo" per questo motivo non ha senso. Ha senso giudicare, e amare, la loro musica, questo sì. 

Per tutto l'album si alternano ballate quasi rock'n'roll di ottima fattura e pezzi più drammatici. Le tastiere sono sempre in primissimo piano, il basso ricorda davvero Hook, e la voce di Borland affascina di primo acchito, al contrario di quella Curtisiana, apparentemente più fredda e sicuramente più impenetrabile. Pezzi come "Missiles" rivelano una vena drammatica tutta da esplorare, ma c'è roba veloce e frenetica come "Heyday", a spezzare la tensione. Proprio "Missiles" ritengo sia il capolavoro del gruppo, comunque: un crescendo quasi straziante, accompagnato da un testo di per sé quasi ridicolo (chi diavolo fa questi missili?) ma cantato da una voce simile assume connotati veramente spaventosi. E non se ne capisce il motivo. Le urla dilaniano il cuore, perché tanta nuda angoscia è difficile da ascoltare. E' sofferenza pura, messa in canzone, forse è questo che spaventa così tanto. A un certo punto i riverberi si fanno più accentuati, la eco si impadronisce della voce ormai realmente disperata, le tastiere vengono potenziate al massimo e tutto vira verso l'implosione, che si fa sempre più imminente. E quando arriva, è quasi un sollievo.

In generale, le canzoni partono piano, a volte pianissimo, ed esplodono sul finale, altra caratteristica tipica dei Joy Division. Qui e nel gruppo di Curtis la tensione la fa da padrone, e a volte si arriva davvero a desiderare che il brano finisca, perché è una tortura psicologica. 

L'unico pezzo abbastanza derivativo mi sembra il comunque splendido "Desire", che ha un po' di Bauhaus (non che sia un male, eh!) il resto è probabilmente (ma chi lo sa?) ispirato ai Joy Division; ma la cosa stupefacente è come, nonostante questo, riescano ad avere un identità propria e facilmente riconoscibile. 

Riassumendo: dramma, tensione emotiva, disperazione e apatia, suono scarno e tagliente, testi strazianti... i Joy Division 2? No, l'ideale proseguimento di un percorso.

Consigliatissimi.

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