Ci sono cose che fanno paura. Tipo svegliarsi una mattina e scoprire che esiste una vocalist con la voce che è un misto tra Avril Lavigne e Ann Wilson (delle Heart) che canta canzoni disco-pop-rock da "ragazza arrabbiata" anni '80 di una ruffianeria e banalità inquietanti. E' Maja Ivarsson, la frontman dei The Sounds, dalla Svezia con furore. Una bella figliola, indubbiamente. E questa è l'unica cosa positiva che si possa dire sul suo conto.
Mi toccherebbe fare una recensione seria e puntuale, ma non ce la faccio. Ho paura, ho davvero paura che con l'ascolto ripetuto necessario a fare le cose per bene una di queste canzoncine insulse mi resti nella testa e mi ritrovi a canticchiarla compiaciuto. Giuro. E' roba da tredicenni, ma di quando non esistevano i cellulari, il rap e l'hip hop, quando c'erano i jeans "Pop 84", insomma quand'eravamo ingenui, quando qualsiasi indumento di pelle nera era ribellione. Va beh, la smetto. Torniamo alla musica.
Seconda prova di un gruppo formato da cinque elementi (la classica formazione rock con aggiunta di tastiere/sintetizzatori), il disco si apre con "Song With A Mission", direttamente dall'AOR degli '80, in cui il massimo di ribellione è dato da un feedback di chitarra buttato lì tra un ritornello e una strofa. D'acchito sembra un pezzo intrigante, ma l'eccessiva sensazione di già sentito tronca le gambe a qualsiasi tentativo di recupero. Proseguendo nell'ascolto cominciamo a venire inondati da tempi in 4/4, forma classica strofa-ritornello-bridge-strofa, testi che esprimono concetti semplici del tipo "'a bello io so' 'na femmina, mi puoi usare come zerbino, ma se dartela o meno lo decido io, perché io rockeggio!" oppure "che ci vuoi fa è così che doveva andare, uh come mi sento male, scenderei quasi a fare dello shopping".
Lavorando di skip sul lettore mp3 ecco uno dei pezzi da salvare: "Tony The Beat", che fino a quando non arriva il ritornello con sintetizzatori dal suono caramelloso è decente, poi deriva in un qualcosa degna colonna sonora dei film "estivi" con Jerry Calà che danno appunto in estate alle 3 di pomeriggio. Altro lavoro di skip per giungere a "Night After Night", banalissima ballata retta da pianoforte ed arpeggio di chitarra, che mette in evidenza tutti i limiti della voce della cantante, che dimostra una estensione vocale di 1 ottava, quando la norma è 3. La cosa bella (ehm...) è che lo stesso pezzo riarrangiato in chiave più rock (presente come bonus track), non sfigura, ma nel contempo riesce a trasformarsi in qualcosa di ancora più anonimo.
Verso la fine dell'album incontriamo l'electro-disco anni '80 di "Hurt You", in cui grazie alla quasi totale assenza della voce della frontman si respira un'aria diversa: se vi piacciono certe sonorità non è malaccio. E siamo arrivati alla fine dell'album, tempo di giudizi!
Per descrivere quanto sia patinato e smussato questo disco devo necessariamente ricorrere ad una cruda analogia: è come una vergine con 3 imeni griffati Prada.
Una raccomandazione: adoperatevi affinché non permettano a questi cinque farabutti di continuare a fare dischi!
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