"No more heroes anymore, no more heroes anymore"
Questo il grido, questo lo slogan già fatto proprio da mille voci che lo urlano al cielo. E' il 1977 e Londra brucia con i suoi antieroi punk, mentre il punk, il movimento, inizia a disperdersi in polveri e lapilli ancora incandescenti, ma che di lì a poco sarebbero stati innocui. Alle porte arrivano già nuove pulsioni, nuovi modi di esprimere il proprio essere e le proprie inquietudini, e forse, a ben vederlo oggi, quel ‘77 londinese non avrà che la durata di uno scatto di fotografia. Ma in quella fotografia, di sicuro, ci sono gli Stranglers.
I quattro di Guildford, pur non essendo propriamente dei punk, si trovano al posto e al momento giusto, e con tutte le carte in regola per cavalcare l'infuocata scena. Brutti, magari, no, ma forse "sporchi", nell'accezione maudit del termine, e presunti cattivi, per i comportamenti ribelli e talvolta oltraggiosi che tengono ai concerti e soprattutto nei confronti di stampa e ordine pubblico. Con l'album d'esordio "Rattus Norvegicus", peraltro, si sono presentati con un vestito elegante quasi d'avanguardia colta, certo aggressivi per vocazione, ma anche molto melodici e strutturati, ben lontani insomma da formule fatte di quattro accordi e qualche urlaccio. Basti pensare a quelle tastiere impazzite che dipingono le canzoni con schizzi di colori, alle costruzioni dei brani quasi prog, e a quella chitarra vibrante ma discreta che in molti suoni anticipa la new wave. Qualcuno addirittura li paragona ai Doors, accostamento di sicuro avventato, ma da accettarsi nella misura in cui riuscì a sviare dall'immagine di fenomeno "di stagione" rendendo l'idea di un progetto ben più complesso.
"No More Heroes", con la sua copertina così funerea eppure così viva, arriva nei negozi pochi mesi dopo il debutto. E' un'altra folgorazione, un disco senza soste che si mescola al flusso del tempo e lo interpreta ancora una volta con un piglio originale, ma con molta più foga rispetto al predecessore. Se in"Rattus Norvegicus" infatti c'era stato più lavoro di studio e di limatura, così non è per "No More Heroes", che affonda i suoi colpi con assoluta naturalezza senza curarsi di quello che potranno dire le cronache. E' un album ruvido, energico, tagliente, a tratti irriverente se non proprio scorretto ("I Feel Like a Wog", "Bring On The Nubiles") e in buona sostanza ha tutta l'aria di sembrare il vero esordio per gli Stranglers, come se fosse stato di poco posticipato.
C'è tutto lo spirito del punk ad infiammare gli undici brani in scaletta, ma ci sono pure la melodia delle chitarre e le fantasie elettroniche del magico Dave Greenfield a ricordarci di quale spessore sia la proposta. Episodi come "Dagenham Dave", "Dead Ringer","English Towns" sono perfetti nella loro immediatezza, ma dischiudono un cuore pulsante fatto di vibrazione rock'n roll condita talvolta da starniate sensazioni funk. Ancora più lontane dal già sentito sono le allucinazioni di "Peasant In The Big Shitty" e in particolare "School Mam", una danza legnosa e inquietante contro gli squallidi costumi di una società che pensa in piccolo. E poi c'è la celebre e festosa "Something Better Change", e poi c'è lei, la title track, un manifesto, un inno del punk al pari se non superiore di "Anarky In The Uk": tre minuti che sono il sunto di tutto ciò che il punk voleva o avrebbe voluto esprimere, tra ribellione e disincanto, e al tempo stesso un ponte con un futuro prossimo che sarà fatto di melodia e sperimentazione. Accordi di una semplicità disarmante (Le Elastica e tanti altri ringrazieranno), un cantato deciso, e caroselli di tastiere in sottofondo a dare al tutto un sapore epico, destinato a durare.
Dunque gli Stranglers non erano nati punk, o non esattamente, ma questo lavoro, col suo essere ribelle, dissacrante, provocatorio, ne fa delle vere e proprie icone del movimento. In questo senso "No More Heroes" rimane una pietra miliare assoluta per chi volesse avvicinarsi allo spirito di quegli anni. Poi alla fine dei '70 Il punk muore, e mentre il suo fantasma si nutrirà e continuerà a vivere nella memoria collettiva grazie a questo e pochi altri dischi, i quattro avranno spalle larghe e idee da vendere per proseguire un'onorata carriera fino ai giorni nostri, rivelandosi uno dei gruppi più longevi della storia del rock. "Whatever happened to the heroes?" riecheggiava perentorio trent'anni fa esatti. Beh, sarete d'accordo adesso su chi siano gli eroi, che da qualche parte nel mondo, forse in questo momento, lo stanno ancora gridando.
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