La tipa è chiaramente ubriaca.
Ma lo sono anch'io, quindi le dico-spiccio che no, non metterò "La Cura".
Primo, perchè fa schifo (ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie/ e guarirai da tutte le malattie). A Rambo arricoglite la fascetta, che t'è cascata.
Secondo, perchè ho già in scaletta "Summer On A Solitary Beach", che oltre ad essere un gran pezzo, non m'incasina coi bpm.
Liquido la scocciatrice, che si è già fiondata sui rustici, e comicio a setacciare la pila di ciddì sul tavolo di mia sorella (che mica sono David Guetta, metto solo un po' di musica a casa degli amici, che credevate?).
La festa è nella fase (pre)mestizia, quello scomodo limbo in cui il diggèi sa di giocarsi la reputazione con una singola mossa. Se l'azzecca, può tirare il set fino all'alba con l'amico scemo che alla fine si toglierà la maglietta e vomiterà in giardino, ma se prende la toppa, sarà preda delle temibili Orde Dei Richiedenti.
"Metti qualcosa di Raffaella Carrà?". "Hai per caso l'ultimo di Tiziano Ferro?".
Tutto questo non avverrà, perchè mentre lumo che dall'ombra si sta per snidare il primo Richiedente (si riconoscono dall'incedere viscido e dal sorriso-elemosinante) ho già fra le mani il mitico The Gospel According To The Maninblack degli Stranglers, e innalzandolo come il calice del sacro Graal sopra la consolle, ricaccio le torme nell'oscurità che appartiene a tutti i poveracci che non selezioneranno mai un cue-point.
"Two Sunspots" è il sound che fa al caso mio, 2' e spiccioli d'onesto wave-punkettoide. E' un successo, il dancefloor-casereccio è allagato dal basso-pneumatico di jean-Jacque Burnel, second/ lead-vocal e musicista over-dotato per i canoni striminziti del punk-rock. La melodia graziosamente sghimbescia asseconda il testo irreale all'aroma sci-fi ("two sunspots are staring at me/ one to left and one to right of me"). La visione d'un mondo alieno dove il vermazzo di Dune incontra La Bibbia e gli batte l'high-five.
E' tutta la poetica balzana di questa perla dell'81 d'altronde, a girare morbosamente su tematiche complottiste che non stonerebbero in uno speciale del Mistero di Enrico Ruggeri. Organizzazioni governative che insabbiano avvistamenti, macchinazioni-plurime, richiami esoterici e quadretti-naif fanno capolino fin dall'agghiacciante balletto-sciancato di "Watlzinblack".
Gli uditori sono in delirio, giusto il tempo switchare il cursore che già le casse sfogano il groove-marziano e marziale di "Just Like Nothing On Earth", esercizio funk-contorsionista scandito da produzione futuribile in cui sezione ritmica e sintetizzatore (di Dave Greenfield) s'attorcigliano iperattivi come Mamba che limonano.
Qualcuno mi lancia occhiate interrogative ("Metti qualcosa dei Depeche?") ma ormai glielo faccio sentire tutto quest'alienato ambaradam proto-techno, proto-gotho, proto-tutto.
A partire dal reggae-stranito di "Second Coming", passando per la progressive-wave di "Hallow To Our Man" (dove l'arpeggio lineare di Hugh Cornwell è solo il preludio d'una gazzarra di cambi e viluppi di moog), giù fino al macabro-beat di "Thrown Away" (pezzo in cui Gli Strangolatori, almeno nel refrain, palesano l'influenza doorsiana più volte rintracciata/ rintracciabile negli esordi della band del Surrey).
Non skippo, ca va sans dire, la serratissima "Waiting For The Maninblack", in cui l'ugola di Cornwell e gli inserti-electro fanno sesso incivile col drumming-sincopato di Jet Black. E non skippo nemmeno l'intrico goticheggiante di "Top Secret" ("he's got something to tell/ but he's got no-one to tell").
Alzo la testa dal cdj giusto per spizzare l'andazzo, ma mi accorgo che nessuno sta più ballando. Sono tutti lì fermi, a frugare nella notte.
C'è un oggetto luminoso, che s'avvicina da nord-est.
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