Volevo solo essere un membro degli Strokes, ora guarda che casino mi hai fatto combinare. Faccio l'autostop con una valigia a rotelle, lontano miglia da una qualsiasi autostrada immaginaria”.

Si apriva con queste parole l’ultimo album degli Arctic Monkeys, omaggio sentito del nuovo che avanza (Alex Turner) al “vecchio” che ha cambiato tutto. Quell’irrinunciabile gioiello uscito ormai diciannove anni fa, “Is This It”, ha davvero sparigliato le carte in tavola, e per gli Strokes da quel giorno tutto è cambiato. Da quel giorno hanno dovuto fare i conti, ad ogni uscita, con delle aspettative incredibili; è vero che spesso ci hanno messo del loro (“Angles” e “Comedown Machine”, per quanto certo non brutti, non sono risultati certo dischi fondamentali), però è anche vero che un album come “First Impressions Of Earth” è stato troppo massacrato ai tempi dell’uscita per poi essere rivalutato negli anni a venire.

Forse deriva da questo la lunghissima pausa che gli ex ragazzi prodigio si sono presi: ben sette anni dal precedente album, e quattro anni dall’ultima brevissima sortita (l’ep “Future Present Past”, carino ma anch’esso non irresistibile). E forse anche per questo hanno deciso di affidarsi a un santone come Rick Rubin, che negli ultimi anni sembra voglia conseguire una specializzazione nel prendersi cura di tutti i comeback importanti in ambito rock (Smashing Pumpkins, ad esempio). Mettiamoci anche la voglia di sfogarsi del leader Julian Casablancas, confluita in quel piccolo gioiello schizofrenico che è stato il recente secondo album dei Voidz, e la frittata è fatta.

Restava da capire, quindi, quanto i rockers di New York fossero convinti di voler tornare ad essere una vera, coesa rock ‘n roll band, e la risposta arriva con questo nuovo “The New Abnormal” (chissà quanto sorriderà Casablancas ripensando alla scelta del titolo, vista la situazione che stiamo vivendo in questi mesi), che a conti fatti risulta senza mezzi termini il loro miglior disco da “Room On Fire”.

Gli Strokes sembrano aver deciso cosa fare da grandi, cosa impensabile fino a poco tempo fa: in questo nuovo lavoro la loro impronta è bene evidente ovunque, in particolar modo in brani come “The Adults Are Talking” (il primo pezzo ad esser stato presentato dal vivo mesi fa), che apre alla grande con il classico intreccio di chitarre tipico della band statunitense (non tragga in inganno la batteria elettronica all’inizio, siamo in pieno territorio Strokes). E c’è sicuramente pane per i denti dei fans irremovibili della prima ora, con “Why Are Sundays So Depressing?” che sembra presa di peso da “Room On Fire” ed il secondo, brillante singolo “Bad Decisions” destinato a divenire un piccolo grande classico della discografia della band (il brano tra l’altro è praticamente una semi-cover di “Dancing With Myself” di Billy Idol, che compare nei crediti).

Ma è dove la tradizione si unisce alla novità che arrivano le cose migliori: Casablancas stavolta media brillantemente coi compagni e porta un po’ della sana follia dei Voidz negli Strokes, con Rubin fondamentale nell’unire brillantemente e sapientemente entrambe le cose. Il lead single “At The Door” poggia interamente sulla voce di Julian e lascia fuori per una volta il drumming di Moretti, centrando in pieno il bersaglio; “Brooklyn Bridge To Chorus” getta nell’impasto classico quintalate di synth, “Eternal Summer” riesce ove “Comedown Machine” aveva fallito mentre “Selfless” e l’anthem “Not The Same Anymore” chiudono il cerchio omaggiando gli Arctic Monkeys di “Suck It And See”. Chiude “Ode To The Mets”, lunga ballad in crescendo anch’essa anticipata prima dell’uscita del disco.

L’opera di Jean-Michel Basquiat “Bird On Money” in copertina è la ciliegina sulla torta di un disco finalmente bello da cima a fondo, che potrebbe (vista la natura stessa della band, meglio utilizzare il condizionale) aver riportato definitivamente tra noi gli Strokes. Bentornati, finalmente.

Brano migliore: Not The Same Anymore

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