Confesso di aver provato una certa emozione quando ho visto sugli scaffali la nuova edizione deluxe, doppio con versioni rimixate e qualche inedito, di "Our Favourite Shop" dei The Style Council.

In quell'anno cruciale, era il 1985, avevo poco più di vent'anni e quello fu (ma in un certo qual modo lo è ancora) anche uno dei miei negozi preferiti. Alcune delle ragioni di ciò possono essere intuite dando un attento sguardo alla copertina, magari dell'LP per chi ha problemi di vista, dove appaiono il dandy Paul Weller e il suo più composto sodale, Mick Talbot, ritratti in una sorta di piccolo bazar situato con ogni probabilità a Carnaby Street. Nell'emporio ci sono le scarpe di vernice molto Old England, le camicie button-down insieme alle cravatte improbabili, che servivano a dare quel tocco eccentrico, i completi scuri con pantaloni a sigaretta e paltò di sobria eleganza; tutti elementi che ricordano i Jam, primo gruppo di gran successo del giovane Weller all'epoca ormai sciolti, veri portabandiera della cultura mod-revival di fine '70, sintetizzabile nel motto "vivere puliti in circostanze difficili". Ma nel negozio, oltre a questi aspetti esteriori di continuità certamente significativi, ci sono altre immagini ed oggetti che attirano l'attenzione: una marsina colorata, riconoscibile cimelio dei passeggeri del sottomarino giallo, le foto di Frank Sinatra, Alain Delon, Al Green e il poster di "Another Country", un film ambientato negli anni '30, con la promessa non mantenuta Rupert Everett, che divenne un manifesto contro il perbenismo dell'età Thatcher, contro una Gran Bretagna sempre più sclerotizzata e matrigna, soprattutto per le giovani generazioni della working-class.
Erano già apparsi prima dell'anno in cui quest'album vide la luce, non solo il suo illustre predecessore "Café Bleu", ma anche "Eden" degli Everything But The Girl, "Diamond Life" di Sade; e sempre nell'ottantacinque uscirà anche l'atteso "Working Nights" dei Working Week. Indubbiamente tutti questi lavori avevano molti punti in comune: il riferimento alla migliore black-music e al cool jazz in particolare, il ritorno agli strumenti tradizionali dopo la sbornia dei sintetizzatori ed anche, per la maggior parte di loro, un esplicito impegno politico e un'aperta avversione contro l'allora governo dei Tories. Qualcuno parlò, forse impropriamente, di un movimento; ma senza dubbio c'era un comune sentire, degli ideali condivisi estetici e sociali: "Our Favourite Shop" è quello che forse rappresenta meglio tale temperie cultural-musicale.

Esso riesce a tenere insieme qualcosa che può sfuggire a chi non conosce l'inglese o non ha sottomano le lyrics: delle melodie orecchiabili, mai scontate, sofisticate in taluni casi, che hanno però fatto i conti con la tabula rasa del punk, e dei testi impegnati, espliciti, fortemente politici, nel senso migliore del termine. Esemplari in tal senso sono brani come "Homebreakers", elegante R&B e realistico spaccato delle catastrofiche conseguenze provocate dalla politica di ristrutturazioni del governo Thatcher nelle aree industriali del Paese; oppure "Internationalist", nervosa song, quasi funky, con i fiati e l'acido Hammond di Mick in primo piano, che incita ad una solidarietà di classe che superi i confini e alla ferma rivendicazione dei propri diritti. La descrizione di un deprimente quadro storico-sociale che i più giovani hanno potuto conoscere grazie a film come "Full Monty".
Tra i quindici brani, che in questa ricca doppia versione diventano molti di più, con l'aggiunta di qualche perla mai uscita su cd essendo b-side di singoli in vinile, ne ricordo solo una per tutte, l'intensa e commovente "Ghosts Of Dachau", vi sono anche alcuni dei migliori singoli dell'epoca come "Boy Who Cried Wolf", "The Lodgers", "Shout To The Top" e il proto-acid jazz della ritmata "With Everything To Lose". Non solo: non mancano neanche riferimenti alla chanson francese, la disperazione che sfuma in lieve malinconia, di "Down In The Sein", alla bossa nova di "All Gone Way", altro cortocircuito tra musiche solari e testi problematici. In più va riconosciuto ad ulteriore merito del gruppo di Weller: quello di essere stato preveggente, intuendo in tempi non sospetti l'epilogo dell'esperienza della Lady di Ferro in "Walls Come Tumbling Down". Non so, però, se Blair ha risposto alle grandi aspettative che Paul aveva a quei tempi; credo proprio di no.

Comunque,"Our Favourite Shop", oltre ad essere ormai divenuto un classico, e la presente deluxe edition sancisce ciò in modo definitivo, è un altro indispensabile tassello per conoscere e comprendere la ricchezza e la qualità della musica pop degli '80, un'epoca nella quale, con buona pace dei detrattori, canzoni di così forte impegno politico e sociale riuscivano anche a scalare le classifiche: dalle "top" si riusciva ancora a mandare uno "shout".

Carico i commenti...  con calma