La fine degli Smiths, in Inghilterra, scatenò una vera e propria caccia da parte dei media agli eredi di Morrissey e Marr. Così, l’investitura di “nuovi Smiths” venne presto attribuita a vari gruppi della scena britannica: gli House Of Love, i James, pupilli del Moz, i Trash Can Sinatras, gli La’s e i Sundays.

Questi ultimi furono senz’altro i più pubblicizzati dalla stampa; capitanati da uno dei più credibili discepoli di Johnny Marr, David Gavurin, e prodotti dalla stessa label del gruppo di Manchester (la Rough Trade), i Sundays scossero il panorama musicale inglese poco prima del fenomeno Madchester, tanto da far esclamare ad un avventato, ma stimato giornalista “questa è la più grande band del mondo”, e da farsi ritrarre in copertina da diversi periodici prima ancora di pubblicare il debutto. Quando questi fu rilasciato, nel tardo 1989, non deluse le aspettative.

I delicati fraseggi di chitarra di Gavurin sono sostenuti da una semplice ma efficace sezione ritmica e dall’ incantevole voce di Harriet Wheeler, una Liz Fraser (Cocteau Twins) meno teatrale. Il disco è un susseguirsi di atmosfere dilatate, con qualche pezzo più veloce e ritmato a fare da contraltare. Il perfetto incontro tra i due modelli scaturisce il delizioso singolo “Here’ s Where The Story Ends”. L’influenza degli Smiths è forte, ma i Sundays sembrano aver appreso dal gruppo una sola lezione, quella sulla ballata pop; insomma, l’intento è quello di rifarsi più a “The Boy With The Thorn In His Side” che a “The Queen Is Dead”. E il risultato è più che buono, e grazie agli echi dream-pop figli di gruppi quali i Cocteau Twins e i Lush (palesi in pezzi come “Joy” e “Skin And Bones”), e ad arrangiamenti scarni ed essenziali, la band riesce a trovare una propria, originale via, e ad imprimerla su ogni traccia dell’ album. “My Finest Hour” e “You’re Not The Only One I Know” mostrano una freschezza compositiva invidiabile, e sono, insieme alla già citata “Here’ s Where The Story Ends”, i picchi di un disco estremamente piacevole, dolce, e che ha come unico limite quello di risultare leggermente ripetitivo, a causa di uno schema troppe volte ripetuto e di una chitarra che stenta ad evolversi.

Elementi che diventeranno sempre più visibili nei successivi dischi, “Blind” e "Static & Silente”, orecchiabili ma non all’altezza di un debutto che ha influenzato band come i Cranberries e i Sixpence None The Richer.

Carico i commenti...  con calma