Stradaiolo, viscerale, essenziale, "l'Uomo più alto della terra" deve la sua statura all'esperienza accumulata sotto i tacchi, in una vita per strada.

Un cantastorie deve averne viste di facce, di strade e luoghi, per poter assolvere al suo compito: unire mondi diversi, talvolta antitetici, l'Europa, nella sua ala più fredda, che per sei mesi l'anno non vede il sole, e l'America, quella dei sogni "on the road" e dei paesaggi infiniti. E il bagaglio, per chi come Kristian Mattson si mette su strada, deve essere leggero. Una chitarra, meglio se vissuta, qualche plettro e un bel po' di calli sui polpastrelli, magari qualche cartina stradale, qualche dollaro (gli euro di questi tempi non affascinano quanto la filigrana verde dello "Zio Tom") e qualche buona storia da raccontare, magari in musica. La malinconia di Nick Drake, il pizzicato del Elliott Smith più intimo, un po' della saggezza "busker" di Damien Rice, il cristallino songwriting di Buckley (padre) e quello ispirato di Buckley (figlio), una voce ora roca, ora nasale del Dylan pre - svolta elettrica, tutti questi ingredienti fanno di Kristian una stellina a cui guardare con interesse, perché siamo sicuri che i suoi lavori daranno nuovo lustro, ad un genere, il folk, troppo perso, negli ultimi anni, dietro una ricerca "psych -", diventata più "- opatic"  che  "- adelic".

La spensierata "I Won't Be Found", è serrata nell'incedere e sembra portarci in volo tra Europa e USA. "Pistol Dreams" percorre un highway assolata con il vento tra i capelli. "Honey won't you let me in", sembra essere uscita da "Freewheelin", del menestrello di Duluth. La "titletrack" è una ballata da portico e sedia a dondolo.  La malinconica "Where do my Bluebird Fly" ci riporta alla mente la fragile produzione drakiana, e Kristian canta al tramonto. L'animo stradaiolo torna con "The Gardner", una ballata "busker" che sa trascinare sapientemente l'ascoltatore verso la seconda parte del disco. Con "The Blizzard's Never Seen the Desert Sands" sembra tornare il Dylan dei primi lavori, e "The Tallest Man ...." ci  guida in giro per l'America Confederata tra "redneck" e saloon. Kristian Mattson dimostra di saper dosare leggerezza e malinconia e cosi scorrono "The Sparrow and Medicine" e "Into the Stream". La conclusiva "This Wind" ci lascia la speranza che il "vento" del ragazzo di Dalarna lo porti lontano, a percorrere strade sempre nuove e che resti ai nostri occhi "The Tallest Man on Earth".

Il disco scorre compatto, il songwriting è ispirato, l'interpretazione è sentita, emotivamente trascinante, l'animo tormentato, quello, non manca mai; "The Tallest Man..." ci riporta ai migliori giorni del folk d'annata. Gli arrangiamenti sono quelli giusti:  voce, chitarra e nulla più. Il futuro è un orizzonte tutto da scoprire, ancora coperto da nuvole, come quelle della copertina del disco. Al di là di quel banco nuvoloso, sembra splendere il sole, la promessa di un fulgido cammino sulle orme dei vari Drake, Smith, Buckley e Dylan.  

Dalla fredda Svezia, Kristian Mattson alias "The Tallest Man on Earth" !!

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