Ascoltando il terzo album dei Tangent, "A Place in a Queue", uscito nel 2006, appare evidente che i fantasmi dei gruppi prog del periodo più fecondo degli anni '70 incombono nell'immaginario di questa formazione. Nato nel 1999 dalle ceneri di 2 band, gli svedesi Flowers Kings del chitarrista e cantante Roine Stolt e i britannici Parallel Or 90 Degrees, grazie anche alla presenza fondamentale di David Jackson (VDGG) e Theo Travis (Gong), il gruppo dell'ecclettico Andy Tillison decide di puntare su uno stile retrò, rigidamente legato ai canoni più tipici ed essenziali del progressive delle origini. E andando contro tendenza e giocandosi una carta rischiosa dal punto di vista commerciale, si può dire che l'esperimento riuscì in pieno con l'uscita del loro primo ottimo lavoro "The Music That Died Alone".
Un largo uso di hammond, moog, mellotron e di fiati, affidati all'eccellente Travis, caratterizza questa monumentale opera di 80 minuti e nonostante l'impronta demodè e la lunga durata, il risultato che ne viene fuori è sorprendentemente fresco e vivace, intriso di gustose venature jazz e di sapore Canterburyano ("DIY Surgery"), di riferimenti più o meno plateali agli ELP di "Tarkus" ("Follow The Leaders"), ai Jethro Tull di "Stand Up" ("Lost in London") e facendo l'occhiolino persino alla discomusic con tanto di citazione su Suzi Quatro (la curiosa "The Sun In My Eyes"). La voce di Andy Tillson è calda e melodiosa, forse potrebbe essere un tantino più espressiva ma è all'organo e synth, con la mente e il cuore rivolti ai grandi Emerson e Wakeman, che dà il meglio di sè creando architetture complesse, accompagnato da un'ottima e potente sezione ritmica e dall'avvicendarsi di Theo Travis al sax , flauto e clarinetto, sublime, in tutta la sua esperienza e immensa bravura; infine, dalla chitarra di Krister Jonsson che rende più pepato il sound e impedisce l'eccessiva invadenza delle tastiere. Ogni componente del gruppo ha il suo momento per esprimersi al meglio, non c'è spazio per un solo protagonista, nessuna primadonna e le due suites che aprono e concludono l'album, "In Earnest" e "A Place In The Queue", si sviluppano entrambe in molteplici passaggi musicali molto diversi fra loro, lasciando intendere la piena libertà espressiva dei Tangent e definendone la personalità complessa e nostalgica. La prima, molto più orecchiabile e d'immediata comprensione ha il pregio di non far pesare i suoi 20 minuti, scorrendo liscia e maestosa, mentre per la suite di chiusura il discorso è piu complicato e si richiede una maggiore attenzione e numerosi ascolti prima di coglierne in pieno l'essenza e il suo potenziale. Per quanto riguarda la parte lirica, i testi hanno un tema ricorrente che riporta al titolo dell'album ma non si tratta di un concept in senso stretto, non percorre nessuna strada, nessun filo logico lega fra loro i brani.
I Tangent possono essere considerati con serenità i nuovi alfieri del progressive, inteso nel suo significato più puro e tradizionale, uno schiaffo morale per chi credeva che il genere fosse ormai defunto definitivamente. Sia ben chiaro, non è un album facile e in tutta sincerità non mi sento di consigliarne l'ascolto a chi non è un cultore del genere, ma sono quasi certa che se fosse uscito 35 anni fa si sarebbe inneggiato al capolavoro.
Andy Tillison - organ, piano, moog synthesisers, guitars & principal voice
Sam Baine - piano, synthesiser & voice
Jonas Reingold - Bass
Theo Travis - Saxophones, flutes, clarinet & voice
Guy Manning - acoustic guitars, mandolin & voice
Jaime Salazar - drums
Krister Jonsson - electric guitar
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