Amate le contaminazioni tra le varie culture, nella vita in generale e nella musica nello specifico? Siete cresciuti a pane e Led Zeppelin, nutrendo negli anni la vostra anima rock, ma allo stesso tempo avete un debole per la world music e per gli strumenti esotici?
Se la vostra risposta è affermativa ad entrambi gli interrogativi, allora non potrete che rimanere affascinati dall’universo sonoro dei The Tea Party, ennesima meraviglia proveniente dalle fredde lande del Canada. I più coraggiosi di voi forse sono riusciti a terminare il link di cui sopra, e quindi si sono già fatti un’idea del talento dei musicisti in questione, oltre che a ricevere un assaggio della varietà di suoni presenti nel loro secondo (per alcuni terzo) full length, “The Edges of Twilight”, datato 1995. Se già l’ottimo debutto “Splendor Solis” lasciava presagire un futuro artisticamente radioso per la band, è con questo lavoro che il power-trio canadese raggiunge il vertice della propria carriera.
Al limitare del crepuscolo vi attendono impasti timbrici dai molteplici aromi, che spaziano dalle forti influenze indiane e mediorientali fino alla tradizione celtica, sapientemente inseriti in un contesto rock. Quello duro, intendo. Vi sembrerà di percorrere senza meta i dedali di viuzze di un bazar, di odorare le fragranze d’oriente, per poi all’improvviso ritrovarvi catapultati sul fianco della montagna, avvolti nella sua ombra. E’ una musica d’impetuosa vitalità quella che si respira nel disco, un vero caleidoscopio di emozioni e di vibrazioni . Il riffing creativo ed elaborato sempre in primo piano, in continua lotta tra seduzioni acustiche e fragori elettrici, tra misticismo ed oscurità, avvolto da ritmiche che seguono l’umore degli elementi e che a loro volta vengono spesso sorrette da un tessuto percussivo d’impronta tribale. Su questa babilonia di sonorità si staglia la voce del carismatico cantante e chitarrista Jeff Martin, profonda e teatrale come quella di uno sciamano che invoca la luna, ma che allo stesso tempo sa destreggiarsi negli acuti con rabbia e potenza.
Il discreto successo che i The Tea Party ottengono in madrepatria non rende giustizia ad uno dei gruppi più ispirati e versatili degli anni novanta, che ha saputo rileggere in chiave moderna la magia dell’hard rock settantiano. Nonostante i continui apprezzamenti della critica musicale e gli attestati di stima degli stessi colleghi, la band non riuscirà a sfondare nel mercato internazionale e si scioglierà nel 2005.
Dimenticavo infine di menzionare l’ospite d’eccezione Roy Harper, che recita un poema proprio nella traccia fantasma conclusiva. Uno che di musica ne capisce, indubbiamente, mica un cazzone come me.
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