I Telescopes sono stati i cinque figli di puttana più rumorosi del rock 'n' roll, a cavallo tra la fine della decade di transizione e il principio dei novanta. "Sono stati", perché il loro cammino musicale, tuttora in corso (!), ha seguìto un andamento quasi parabolico, esplorando in lungo e in largo, negl'anni, diversi stili musicali, sostanzialmente principiando con mestiere dalla ribellione rumorista giovanile, per poi svilupparsi, estendersi, e forse perdersi, smussando gli angoli più pungenti e spigolosi della loro peculiare ruvidità, in favore di un suono più commestibile e un'orecchiabilità più popolare.
Succede che oltre vent'anni orsono esordiscono con il brutale "Taste" (What Goes On Records, 1989), dove, sulle stampo di "Psychocandy" e sulle orme di "Sound of Confusion", ridefiniscono, esasperandoli, i contorni dei tratti distintivi della psichedelia e del noise, combinati tra loro e contaminati dalla furia garage degli Stooges e quella chitarristico-spaziale degli Spacemen 3.
Insomma, si inoltrano in un territorio non troppo ben ascrivibile ad una sola corrente musicale, bensì a diversi generi con un possibile denominatore comune che si identifica nel sudiciume, la sporcizia dei suoni, delle chitarre, della voce e delle sue impetuose grida rivoltose.
Se Velvet Underground e Who, per aspetti differenti, furono considerate due tra le band più rumorose degli anni sessanta (e non solo), i Telescopes, a loro volta, furono per certo più babelici degli stessi Specemen 3, dai quali attinsero a piene mani, e persino più frastornanti dei portabandiera della schizofrenia sonica dell'epoca, che rispondevano al ben più celebre nome di Sonic Youth.
Sicché, ispirati da cotanti simpatici nomi, dopo aver pubblicato una manciata di singoli e il valido "Taste", nel 1990 suonarono all'Harlow Square Club il materiale che fu poi "raccolto" in questo "Trade Mark of Quality", che di fatto suggella sul serio con il distintivo marchio di qualità una delle loro opere maggiori.
Un concerto fulminante, il cui impeto lo si potrebbe accostare, senza troppi grattamenti di mento e capo, a quello storico dei MC5 nel pilastro di cemento armato su inossidabile trave d'acciaio che è "Kick Out the Jams".
Certo, la folla non sembra troppo entusiasta tra un brano e l'altro, ma della folla non c'è mai da fidarsi troppo [...].
Questo non è soltanto un concerto da (ri?)scoprire, bensì un'esperienza che scuote dalla testa ai piedi e sconvolge i sensi; un lavaggio del condotto uditivo il cui manifesto probabilmente resta quella che è la versione definitiva di Perfect Needle - uno dei primi singoli della band, che venne successivamente inserito nel giò cirato "Taste" -, col suo infuocato riff di chitarra destinato ad essere ricordato, e Stephen Lawrie che urla ossessivamente di avere THE PERFECT NEEDLE FOR YOU fino a far dimenticare l'eufonica versione originale in salsa space-rock. Ah, da menzionare senza dubbio also the carica "punk" dell'aprente There Is No Floor. Bonanotte.
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