Il mio gatto riuscirebbe a scrivere una canzone come quelle dei Thermals. Volete far comporre anche al vostro animale da compagnia una canzone del livello di quelle dei Thermals? Oggi potete farlo con poche semplici mosse, basta infatti far pizzicare la medesima corda per otto battute alla propria amata bestiola, dopo di che un’altra corda per altre otto battute, ora ripete il processo a gogo.

Questo il contenuto di “Personal Life”. Ragazzi che diarrea fulminante, immagino succeda anche voi, è raro che un disco vi faccia incazzare, di solito, quando un album è brutto non fate neanche in tempo ad accantonarlo con nonchalance che ve lo siete già scordato. Questo no purtroppo, non me lo scordo, è uno dei dischi più insulsi ed irritanti che abbia avuto modo d’ascoltare. Ed è per giunta il loro quinto album in studio. Mi sono deciso ad ascoltarlo perché ho letto qualche recensione positiva (vai a fidarti), evidentemente scritta da parenti del gruppo, e temevo di essermi perso per strada un buon gruppo rock. Macchè, una lagna terrificante. Già il nome fa pena, Thermals, ma chi siete, discendenti di Diocleziano?
Ma veniamo in concreto a questo strazio del quale dopo questa recensione non voglio più sentir nulla. Questo gruppo propina una sequela di canzoni talmente scontate che una coverband è più originale. I problemi sono dappertutto a partire dal genere: post-grunge, territorio ampiamente stuprato che ha senso ripercorrere solo se muniti di controcazzi. Infatti, mettendo su questo disco, sentirete con immensa gioia (NB: sarcasmo) altre band post-grunge del passato, non certo grupponi, dato che già quand’era in voga stentavano e non poco, Bush e Silverchair su tutte. Allora fate due conti, il post-grunge era un rimescolio poco appetibile del grunge, a sua volta genere che ha fatto il suo periodo e che nessuno osa più riproporre.

Ma non finisce qui. La cosa che mi fa più imbestialire è il costante plagio dei Placebo. Quando infatti non sembrano i Bush i Thermals si trasformano in dei Placebo appannati. Il cantante ha un tono simile a quello di Brian Molko e in più si ostina a cantare alla sua maniera; questo è un grosso problema mi capite, perché non è Brian Molko e costoro non sono i Placebo.
Vi sfido, ascoltate i primi tre (o uno solo) più che onesti album dei Placebo, quest’album dei Thermals viene fuori da lì. E’ sconcertante che una band al quinto album propini una simile brodaglia rancida. E c’è chi li produce e c’è chi li ascolta. Sarò io il prevenuto che non si rende conto che ha di fronte un’onesta operosa e discreta rock band ma scommetto i gioielli di famiglia che manco sotto prozac lo ascoltereste sto cd. Ho paura di chi possano essere i fans di una simile non-band, e mi vedo questi ragazzotti 17enni brufolosi che rifiutano il conformismo checcoide di Justin Bibier per le sonorità più stoner e intrise d’ormoni dei mitici termofili. AIUTO. Quando ci vuole, ci vuole, questa è gente a cui bisogna far capire che la musica va lasciata ad altri, e che vadano pure a coltivare bonsai.

Postfazione: un brano si salva e spicca (è proprio il caso) tra tutto il caccume. Si tratta di “I Don’t Believe You”, pop punk adolescenziale, sempre lido Placebo; ma è una canzone che potrebbe aver scritto Molko, una canzone che merita un ascolto quindi.

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