Ultimamente vado spesso a mangiare in uno di quei sushi-restaurant tanto di moda al giorno d'oggi, sapete, quelli col nastro trasportatore con sopra mille mini-porzioni di cibo più o meno giapponese. Anche se in franchising, ovviamente, e riscaldato.

L'ultima volta mi sono seduto e, in attesa del wasabi, ho pensato che i Ting Tings sono come il sushi. Hanno quel sapore easy, da take away, da sì-ceno-ma-in-sciallo, vagamente fighetto, ma simpatico.

Prendiamo il maki, per esempio, in tutte le sue varianti. Si tratta fondamentalmente dell'unione di due ingredienti principali: riso e pesce. Il primo crea la base del gusto, amalgama il palato, fa il lavoro sporco: in una parola, arrangia. Il riso è Jules De Martino. Il pesce invece, col suo sapore dominante, con la nota spiccata e solista, chi potrà mai essere, visto che stiamo parlando di un duo? Bravissimi cervelloni, è lei, Katie White.

La fa la fighetta indie modaiola che va a tutti gli All Tomorrow Parties, e ci va adorando Wharol e guardandoti con quell'espressione che dice "Ho un cervello. Lo sto nascondendo apposta, perchè è così che voglio, e perchè sono furba". Lui niente, sta in disparte, fa un po' lo smanettone (anzi, lo è), risulta impacciato nell'unico balletto che gli fanno fare e aumenta il coefficiente simpatia dell'ensemble.

l sushi-restaurants, dicevamo. Sul nastro trasportatore che ti passa accanto passano miniporzioni normalmente sfiziose, occasionalmente orribili. Sì, in tutto questo ben di Dio, ci scappa sempre l'orribile insalatina amarissima o il fritto più indigesto.

"We started nothing" (plauso al titolo, se non altro), primo lavoro dei Ting Tings, è proprio così. Parte assestando un uno-due che, anche se ovviamente non si grida al capolavoro, ti fa comunque pensare "ehy, questi sanno mettere assieme una strofa ed un ritornello". Il che non è cosa da poco. Anzi, nel contesto pop in cui si muove il disco, è la caratteristica più importante, e pochi gruppi la possiedono, e per poco tempo.

Il sound è subito chiaro: fresco, ammiccante, da aperitivo fashion non solo londinese,  ma anche meno raffinato, da Milano-da-bere. Un'happy hour da semisbronza cool, ecco. Il primo brano, beh, che ve lo dico a fare, lo conoscerete tutti a memoria. MTV quest'estate lo passava ogni 5 minuti. Singolo potente, minimale come sarà tutto l'album, molto catchy, ancora più ruffiano e decisamente riuscito.

Con "That's not my name", inaspettatamente, i Ting Tings fanno ancora meglio. Più malizia, più civetteria, più stronzaggine indie, più sicurezza nei propri mezzi. E una evidente capacità ad amalgamare in un contesto irresistibile pochi, pochissimi elementi. Canzoni che esplodono nel nulla come bolle di sapone, ne convengo. Leggere, leggerissime mentre ce le si immagina suonate nell'ennesima discoteca rock dell'ennesima città. Ecco, la città: il suono è decisamente urbano. Niente ma proprio niente di bucolico, qui.

Portate ottime, finora, il nastro trasportatore non ha deluso come invece credevo. Ma cos'è che ho appena mangiato? Già non ricordo più. Ricordo però la caduta di tono del terzo pezzo, che ripropone gli elementi dei primi due ma senza verve e senza quella particolare magia melodica che si innesta tra arrangiamento e melodia nelle canzoni ben riuscite. Il pezzo non funziona. Troppo amaro, troppo rafano. Che c'è dopo?

Dopo c'è "Traffic Light", pezzo carino, che mi ha stranamente ricordato le melodie della Bjork più banale e delle Pipettes più lentone. Strane associazioni mentali, concordo, per una canzone dalla musica futurista e dai ricami vocali retro, quasi anni 60. Non male.E' il riso (Jules) che è un po' scotto. Il quinto brano è ottimo. Il più new-wave del lotto, se così si può dire. Ammicca ai Franz Ferdinand così come alla discodance anni ottanta ed ha un bel giro di basso, a sostenere la chitarra che ha stile proprio perchè varia pochissimo. Si balla con gusto. Il pesce (Katie) qui ha un sapore a volte fin troppo svampito et ruffiano, ma è un peccato che, nell'energia della canzone, si perdona volentieri.

Il nastro trasportatore ci serve, come portata numero sei, "Keep your head". E qui sento sapori che non mi aspettavo. Si tratta, in pratica, di una garage-song sterilizzata, depressurizzata, ripulita da capo a piedi e omogeneizzata per la facile digestione di tutti. Niente di che. Il riff di chitarra insiste troppo sullo stesso giro e le occasionali tastierine synthpop la rendono un po', ecco, stupida. Me la sono immaginata suonata dalle primissime Hole, cantata dalla voce di ruggine della Courtney Love che fu. Poteva uscirne qualcosa di carino. Ed ecco la sushi song per eccellenza, la traccia numero sette. Un (J-)pop minimale che procede tra basso dritto in sapore darkwave ed una bella melodia cara al Tweepop. Mi sono venuti in mente persino gli Heavenly. Corta, usa e getta, gustosa.

Il pianoforte all'inizio di "Be the One" mi getta nel panico. Temo vogliano fare gli impegnati, e la cosa mi fa orrore. Ma, tempo dieci secondi eccoli: discopop sbarazzino come al solito, buono giusto per far ondeggiare la testa, mentre il cervello non viene nemmeno sfiorato nè tantomento stuzzicato dal bano in questione. Anonimo, tranne per un paio di crescendo apprezzabili. Ti fa aprire lo stomaco: non mi sazia...cosa arriva adesso?

Alla nove c'è una traccia strana, per quanto strana possa essere una canzone dei Ting Tings. Più stopposa, legnosa delle altre. La sensazione è quella di leccare l'intonaco, e non è così male. Altri gruppi, ben più marziali, otterrebbero risultati molto migliori nello stesso campo, ma chissene. Anche questa canzone è volata. Senza particolari pregi, certo, ma è andata giù come acqua. A proposito, ho finito il bere. La Sapporo è proprio una birra niente male, non sapevo ne facessero di così buone, in Giappone.

Gran (?) finale per la title track che, dopo "Keep Your Head", è il secondo pezzo finto-garage del cd. Poco da dire a riguardo. Qualche inserto di fiati dona alla canzone un sapore quasi-soul, mitigati da effettacci prodigyani come a dire "si, ci mettiamo gli archi, ma stiamo nel seminato". Nessun crescendo, nessuna granduer, nessun commiato. Il cd si conclude così come era cominciato: frizzante, modaiolo. Ma con una canzone più brutta rispetto alle prime.

Molti dall'altro di presunte oggettività denigreranno o, peggio, insulteranno questo album. Secondo me è un onesto cd di disonesto pop, e per buona parte funziona. Mi spiego: onesto perchè assolutamente palese nel suo essere ruffiano, ammiccante, furbo e quindi disonesto. Se invece non vi piace perchè è False Metal, beh a questo non ho repliche di sorta.

Se ascoltare Avril Lavigne è come andare al McDonald, con i Ting Tings si va dritti al Giappo gente. Che è sempre cheap ed è sempre cibo riscaldato, ma per coloro che credono di essere più sofisticati. E, comunque, ci si può stare alla grande. E divertirsi pure.

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