Se oggi, varcata la soglia degli "...anta", qualcuno nomina l'Australia in mia presenza, subito mi tornano in mente Radio Birdman, Saints ed altri eroi che nel decennio 1976/1986 diedero l'assalto al cielo menando micidiali fendenti punk e garage; all'epoca della mia fanciullezza, invece, il pensiero correva spedito ai Triffids.
«Ah, but I was so much older then, I'm younger than that now», diresti tu, buon vecchio Bob, leggendo queste mie righe.
E sicuramente lo starai facendo, ché ricordo bene quando mi confidasti di apprezzare particolarmente la versione di «I'm A Lonesome Hobo» che i cinque proposero nel loro album di esordio, "Treeless Plain", ritendola al pari di «All Along The Watchtower» ripresa dai Giant Sand, la più bella cover di un tuo brano eseguita negli anni Ottanta.
Pienamente d'accordo con te, ma a distanza di ventotto anni sono più che mai convinto che in quel disco compaiono 11 brani autografi che valgono la bellezza di «I'm A Lonesome Hobo», in alcuni casi superandola, addirittura.
La pareggiano i brani che seguono, in primis «Place In The Sun», posta in chiusura di lato A (e tema dell'omonima fiction di successo programmata su Rai Tre), che in teoria dovrebbe essere un brano pop, ma se questo è pop, io abiuro seduta stante la mia fede garagista; e l'intero lato B, a partire da quella «Plaything» per cui valgono le medesime considerazioni testé espresse per «Place In The Sun», via via fino alla conclusiva «Nothing Can Take Your Place», incrociando per strada i fantasmi di Joy Division, Cure ed Echo & The Bunnymen.
La superano i brani che precedono, nell'ordine «Red Pony», «Branded», «My Baby Thinks She's A Train» e «Rosevel», viali di uno splendido labirinto, cosparsi di folk, rock, wave, post-qualcosa e screziati di aromi jazz, in cui perdersi sperando di non ritrovare mai la via di uscita.
Anche perché la compagnia è di quelle buone, che vorresti al tuo fianco fino alla morte ed oltre: la voce duttile ed eclettica di David McComb, il violino incantevole di suo fratello Robert, l'organo sinuoso di Jill Birth e la ritmica in perenne oscillazione tra linearità wave e sghimbesci jazz di Alsy Mac Donald e Martin Casey.
Disco difficile da definire, "Treeless Plain", per il suo alternare senza posa umori e sensazioni: rivelatrice in tal senso l'apertura con la classicheggiante «Red Pony» - richiami doorsiani alla codeina - e però incalzata dal rock spedito di «Branded» - quasi come i Saints, una volta sbolliti gli ardori adolescenziali - uno di quei brani destinati a passare alla (mia) storia per l'intro di batteria e chitarra e per il verso «Chi spezza un cuore puro sarà dannato per l'eternità».
E poi ci sono, appunto, «My Baby Thinks She's A Train» e «Rosevel», due brani che chiunque, come me, abbia lasciato il cuore negli anni Ottanta non può fare a meno di conoscere, ascoltare e rimpiangere.
Passarono tre anni prima che "Treeless Plain" avesse un successore, a nome "Born Sandy Devotional", sotto molti punti di vista perfino più bello dell'esordio, e però decisamente più cupo e malinconico; l'album della maturità e quello per cui ancora oggi qualcuno si ricorda dei Triffids.
Ma l'innocenza, la passione e la malia che albergavano in "Treeless Plain", quelle non potevano essere ripetute: il cuore puro era stato spezzato.
Quindi, caro Bob, hai voglia a ripetere che "Treeless Plain" fonda la sua bellezza solo sulla felice ripresa di un tuo brano ... non mi convincerai mai che sia così, anche perché, se proprio lo vuoi sapere, la loro versione di «I'm A Lonesome Hobo» è ben superiore alla tua, stacce! E comunque, senza rancori, ne approfitto per augurarti - seppur con colpevole ritardo, ma ho avuto diversi impegni che mi hanno impedito di chiamarti ed una mail od un sms non mi parevano carini per l'occasione - altri settant'anni come quelli appena trascorsi.
PS: Perché poi una telenovella ambientata a Napoli ai nostri giorni abbia come tema un brano concepito nella Sidney del 1983, per me rimane un mistero. Un po' come se Biutiful avesse per sigla «Bella» di Giovanotti ... non c'azzeccherebbe niente!
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