Il discorso sembra riprendere dal recente "Into the Woods", ultimo album solista del buon Tony Wakeford. Lavoro, questo, che contemplò, accanto alla mastodontica figura dello storico leader dei Sol Invictus, l'imponente presenza dietro al microfono dell'amico e collaboratore Andrew King, bislacco personaggio riesumato da chissà quale epoca dimenticata: "The Triple Tree" è così il progetto in cui si realizza nella sua forma più completa il sodalizio artistico fra il Dottor Anthony Charles Wakeford e il Reverendo Andrew Stewart King, e "Ghosts" (pubblicato sul finire del 2008) costituisce un lavoro dall'alto valore concettuale, oltre che artistico.

Ne ha fatta di strada Wakeford dai ruggenti tempi dei Crisis, ma in un certo senso la sua marcia contro il mondo moderno non si è mai arrestata. Oggi questa marcia assume una nuova forma, si emancipa dal mondo delle rune e della filosofia evoliana, per approdare alle ambientazioni orrorifiche della novella gotica: "Ghosts" trae ispirazione dall'arte letteraria di M. R. James, noto scrittore di ghost-stories e studioso di storia medioevale. Pretesto, da un lato, per celebrare la propria, amata, tradizione (quella inglese, appunto), di cui King pare essere un profondo conoscitore; dall'altro, per penetrare, con nostalgia e passione, in un mondo misterioso, magico, arcano.

Anche da un punto di vista musicale, il riferimento più eloquente rimane "Into the Woods", che sembrava da un lato riesumare certe suggestioni industriali ereditate dai primi album dei "Sol Invictus", e dall'altro esplorare una dimensione più "tradizionalmente folk", intima, non ancora contaminata dalle tentazioni apocalittiche che caratterizzano da sempre il classico sound del Sole Invitto.

Ma la bellezza di "Ghosts", oltre che al rigore del concept che vi sta alla base, è da rinvenire proprio nel saper raccogliere ed amalgamare tutto il mondo artistico caro a Wakeford, ed in particolare le pulsioni espresse nel corso dell'ultimo decennio: per questo, in "Ghosts", non ritroviamo solo l'inconfondibile indole apocalittica che caratterizza da sempre la sensibilità artistica di Wakeford, e perfettamente esplicitata negli innumerevoli album rigurgitati dalle fauci della sua band madre; in "Ghosts" ritroviamo le asperità industriali dei primi lavori, un amore per certe divagazioni esoteriche e rituali mai rinnegate, il folk ancestrale e bucolico degli album solisti, la sontuosità delle dotte stratificazioni sonore de L'Orchestre Noir, le intuizioni sperimentali e le divagazioni jazz abbozzate in un lavoro atipico come "Thrones".

In mezzo a questo marasma troviamo perfettamente a suo agio il compare King, la cui voce sembra provenire dalla tomba scoperchiata di una cappella fatiscente, luogo in cui pare giacere ed essere custodito un affascinante passato pregno di luci ed ombre, presenze inquietanti, entità soprannaturali, luoghi misteriosi.

Il timbro greve, baritonale, aspro; i sussulti di uno spirito fiero e riottoso, sono una caduta libera verso una dimensione astratta, antitetica al presente: non vuota epicità (come tanto va di modo oggi), ma una spericolata fuga dalla contemporaneità volta al recupero delle radici antropologiche che l'uomo moderno sembra aver perduto nei meandri di una complessità sterile ed inutile.

Le gelide perlustrazioni industriali di Wakeford (riconoscibile anche al basso, alla chitarra e in poche, ma significative, incursioni vocali), lo stridere in una elettronica ambientale e raggelante, la magia dell'organo, delle tastiere mimanti gli strumenti più disparati (cornamuse, fiati, archi ecc.) non cozzano, bensì si sposano miracolosamente con le invasate arringhe di King, i suoi canti arcani e misticheggianti, i colpi fatali delle sue percussioni. Vi sono poi le comparsate di innumerevoli ospiti che nobilitano un album corale, vario, forte di suggestioni contrastasti, ma perfettamente in linea con gli intenti dell'operazione: le ugole fatate di Kris Force ("Amber Asylum") e della folksinger  irlandese Autumn Grieve, il rullare dei tamburi del veterano John Murphy ("Death in June", "Current 93" ecc.), le sferzate di violino, gelido come il vento d'autunno, di Renee Rosen (già vista dalle parti di "Sol Invictus"), ed altri ancora.

Inutile dilungarsi nel descrivere singolarmente i tredici episodi che compongono l'ora scarsa di durata dell'opera; impossibile rendere a parole la magia di certi passaggi, il gusto di certi contrasti, l'alchimia con cui molteplici ed opposte suggestioni (tragedia e farsa copulano continuamente, vedasi anche le buffe foto che costellano il booklet interno) si raccolgono in un viaggio coerente e, seppur grottesco, affascinante: il sibilare del vento, lo scroscio impetuoso della pioggia, lo scricchiolare di porte dagli argani arrugginiti, il pericolare di vecchi edifici, la desolazione di un cielo notturno rischiarato dalla luce pallida della luna, gli inquietanti contorni delle croci di pietra di un sinistro cimitero sperso nella brughiera, sono la cornice di sinistri accadimenti ed oscure riflessioni, delle vicende di una popolazione di presenze fantasmatiche, un coro di voci nell'oscurità che evocano memorie e tradizioni di un passato dimenticato.

"Ghosts" si presta così alle nostre orecchie come un fine saggio di riscoperta letteraria, una poetica e coraggiosa fuga dalla contemporaneità, nonché uno dei migliori lavori di sempre di Tony Wakeford che, a praticamente trenta e più anni di onorata carriera, si mostra in grado di saper dire ancora qualcosa. E non è un caso che questa cosa ci venga detta al di fuori dei costringenti ed angusti confini del Sole Invitto.

Da non perdere!

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