Non illudetevi. Se sto facendo la recensione di questo disco (semisconosciuto) di questo gruppo (ancora e purtroppo semisconosciuto) non è di certo perchè ci troviamo di fronte ad un capolavoro. Non ha nemmeno una portata rivoluzionaria o un qualcosa di insolito. E che cos'ha allora questo disco? Bellezza. Bellezza da vendere. E potenza, tanta. Esattamente la stessa bellezza e potenza della voce di Finn Andrews, frontman del gruppo, un perfetto incrocio tra Tom Waits e Thom Yorke (pensate un po che roba...). Il nostro, dopo uno scintillante album d'esordio ("The Runaway Found") si ritrova da solo, costretto a ricostruire il gruppo da capo. Ma si sa, è dalle situazioni più difficili che nascono le cose più strabilianti... 

Certo, come detto, non è un lavoro impeccabile. Ci sono molti passaggi a vuoto, compensati però da almeno 4 pezzi memorabili. Ma andiamo con ordine.

Apre "Not Yet", cavalcata sostenuta accompagnata da chitarra acustica, piano e voce. Un'ottima apertura, che cresce tra stop e ripartenze fino ad esplodere. Ma attenzione, arriva "Calliope!", una dolcissima ballata pop al sapore di miele che ti entra in testa e non se ne va più, forte di un ritornello sfavillante e di una linea melodica accattivante. Tiriamo il fiato con "Advice For Young Mothers To Be", pezzo che non ha molto da dire. Ma non disperate, perchè è in arrivo "Jesus For The Jugular": una marcia terrificante che crea un'atmosfera alquanto agghiacciante, con Finn Andrews in grande spolvero. Come se non bastasse dietro l'angolo c'è "Pan" (uno di quei famosi 4 pezzi memorabili...), costruita su un pianoforte aggressivo come non mai e una batteria molto sincopata. La voce poi, che ve lo dico a fare... Da registrare inoltre un finale in cui Finn mette a serio rischio le sue corde vocali. Tripudio.

Metà album. Si prosegue con "A Birthday Present". Un tintinnio, un carillon che ci accompagna per tutta la durata del pezzo. Canzone riempitiva, non ha molte pretese. Stesso discorso per la successiva "Under The Folding Branches", un episodio per piano e voce che rilassa l'atmosfera prima della discesa nell'inferno. Stiamo parlando della title track, a mio parere il pezzo più bello dell'album e di tutta la produzione del gruppo. "Nux Vomica" è cattiveria allo stato puro. Grezza, diretta, feroce, ti spettina i capelli e non ti chiede il permesso. Il finale, coma da abitudine, è epico. Non riuscirei neanche a descriverlo. Ascoltate e capirete. Ma non finisce qui... C'è ancora "One Night On Earth" che reclama attenzioni, con il suo stupendo arpeggio di chitarra e la sua atmosfera tutta luci e ombre (sembra davvero di essere immersi nella notte di un pianeta sconosciuti simile alla Terra). Chiude "House Where We All Live", sorretta da una chitarra acustica, contrappunti di organo e la straordinaria (come al solito) e struggente voce di Andrews.

Spontaneità allo stato puro. Ti colpisce al primo ascolto. Può creare dipendenza.  

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