E riecco i Veils. La band capitanata da Finn Andrews (dopo numerosi cambi di line up avvenuti con una frequenza preoccupante) sembra aver trovato pace ed equilibrio. Manco a dirlo, questo nuovo disco rispecchia alla perfezione la situazione del gruppo: equilibrio, armonia, omogeneità.

Prima di passare alla biopsia del CD vorrei compiere un'opera di calibrazione sul metro di giudizio con cui andrete ad analizzare il disco. In parole povere: la critica, a volte, sbaglia. "Time Stays, We Go" è stato accolto assai bene, quasi quanto l'esordio "The Runaway Found". Premetto e sottolineo: è un grande lavoro, validissimo nel complesso. Ma non è l'opera migliore, il punto di arrivo di un percorso, il disco del "finalmente ne hanno combinata una buona". Toglietevelo dalla testa. E' il frutto di un'evoluzione musicale, di una comunione di intenti, uno stacco rispetto al passato, con soluzioni più "custom", atmosfere più levigate e particolari. Punto. Nulla in più di "Nux Vomica" (il peggior disco a detta di chi scrive, il miglior disco a parer mio). Forse meglio di "Sun Gangs", quello sì. Ma semplicemente perchè "Sun Gangs" è a tratti davvero noiosetto. Ma questa è un'altra storia. Passiamo al disco.

Anticipato degnamente dal singolo (scaricabile gratuitamente già da tempo) "Through the Deep, Dark Wood", che apre le danze. Ottimo antipasto, stuzzica l'appetito con quella strofa cantata in maniera vagamente ruffiana e quel ritornello che pretende attenzione. La cosa si fa interessante quando parte "Train with No Name". Accattivanti le scelte ritmiche, accattivanti le soluzioni "arpeggiose" di chitarra, accattivante la linea vocale. Insomma, è un pezzo accattivante. Anzi, è proprio bello. Salite a bordo e lasciate scompigliarvi i capelli dal vento. "Candy Apple Red" è il pezzo bruttino che trovate (purtroppo) in quasi ogni disco. Ma siccome quel gran volpone di Finn ne sa una più del diavolo, lo incastona sapientemente tra due gemme: "Train with No Name", per l'appunto, e "Dancing with the Tornado". Unico episodio a-là "Nux Vomica", che ci ricorda il passato, in cui Andrews amava mettere a repentaglio la vita delle sue corde vocali spesse volte. Il presente invece ci indica che la sua voce è diventata più educata, preferendo la funzionalità all'ardore. Ecco la "customizzazione" di cui vi parlavo. "The Pearl" scorrerà liscia liscia, neanche ve ne accorgerete della sua leggera melodia. Quando invece arriverà "Sign of Your Love" ve ne accorgerete eccome. Maestosa. Marziale. Diciamolo, il miglior brano del disco. Impossibile non seguire le parole cantandole, impossibile non scandire il tempo muovendo qualsiasi parte del vostro corpo. Ascoltare per credere. "Turn from the Rain" e "Birds" soffrono sensibilmente la consecutio dovuta a "Sign of Your Love", rivelandosi nel complesso un po' deboli. "Another Night on Earth" può sembrare abbastanza banale, con un piano che trasuda zucchero e un ritornello (manco a dirlo) da mondo di frutta candita (è un po' la "A Birthday Present" del disco), ma non è così. E' posizionata bene all'interno della setlist, e tutto sommato non è malvagia. Chiude "Out from the Valleys & Into the Stars", classico congedo in stile Veils, rilassante, sottovoce, con un intrigante risvolto finale.

Consiglio vivamente l'ascolto, ma raccomando di tenere a mente ciò che ho detto in apertura. C'è un cambiamento in atto nella musica attuale dei Veils, anche se quasi stenti ad accorgertene se non ascolti con attenzione. Ma guai ad interpretarlo in maniera sbagliata fraintendendo il passato. Chi li ha amati li amerà ancora, chi li ha odiati li odierà ancora, chi non li conosce bene meglio che non si sforzi di capirli. Io li amo e dico: "Bentornati. Mi eravate mancati".

Carico i commenti...  con calma