Noia, è questa che mi spinge alle 4:26 di mattina a scrivere questa recensione, la recensione di un album che non ha niente a che fare con la noia, anzi "White Light/White Heat" è un album che con la noia non ha a che fare proprio un bel niente.
Album che Scaruffi ha ficcato al secondo posto nella classifica dei migliori album psichedelici di sempre. Il primo è l'omonimo dei The Doors.
La prima traccia è un boogie martellante come "Waiting for the Man" dal loro precedente, leggendario primo disco. Alquanto stucchevole. Si chiama "White Light/White Heat".
La seconda traccia è costituita da un giro a vuoto di viola-chitarra in sottofondo che ricama cose alla cazzo di cane, e una batteria svogliata ma incessante. Mentre la voce di un tizio racconta sul canale sinistro una storia coinvolgente (dura otto minuti) e divertente. Una versione più corta e sottotono della traccia numero sei. Si chiama "The Gift", questa.
La terza traccia è una delle migliori del disco, molto più psichedelica della precedente, una viola in sottofondo a mò di sirena ambulanziale, il tam tam del tamburello e due voci raccontano un'agghiacciante prova di coraggio da parte di un uomo che vuole cambiare sesso, l'ansia trasuda da tutto ciò che l'orecchio può udire. Prima della fine si sentono fusa di velociraptor, battito cardiaco e fischi vari a far capire che la situazione si fa sempre più rovente e opprimente ma nonostante questo rimane un clima velato e soffuso color lillà. L'uomo muore sulla barella col pene sanguinolente tagliato come un salamino. Questa si chiama "Lady Godiva's Operation". Ricorda "Heroin".
La quarta traccia è molto; troppo inquietante nonostante il suo motivetto vaudeville e il ritornello. Simile a "Sunday Morning". Non c'è molto da dire. Si chiama "Here She Comes Now". E' acqua fresca in confronto a quello che verrà.
La quinta traccia è impossibile da descrivere in quanto è puro rumore tagliente, non rumore rumoroso come "European Son" ma lì vicino. Si chiama "I Heard Her Call My Name".
"Sister Ray" è il titolo della leggendaria sesta traccia, leggendaria a tal punto da poter rientrare tra le cento canzoni più leggendarie di sempre. Leggendaria a tal punto da poter essere catalogata come droga. "Droga di quì, droga di là"/"viaggio metafisico di quì, viaggio metafisico di là" e mi sono assicurato il posto come miglior critico di sempre, NO! (A parte che "viaggio metafisico non c'entra un cazzo, comunque... ) Questa è davvero droga, talmente potente da dare energia all'ascoltatore, energia per mangiare, energia per costruire una libreria o farsi una corsa a razzo nel parco. Attacca lentamente ma sembra andare più veloce ogni minuto che passa, e la canzone dell'inizio si trasforma lentamente in un delirio psicotico balbettato, da urlare al mondo intero... MA! Ma, per urlare al mondo intero una cosa del genere ci vuole una forza d'urto/d'urlo e una velocità talmente alta da rimanere un'esclusiva per i sayan dei cartoni giapponesi. Non si può far altro che ascoltarla e cercare di sfogarsi nel modo più controllato possibile. Non si può resistere alla lussuriosa sesta traccia di questo disco. No. Una traccia che ha qualcosa di primitivo, anzi molto più di qualcosa, si basa sull'istinto animale, quello che ti da la forza di sopravvivere in qualunque modo a uragani e terremoti. La prima cosa che balza all'orecchio di queste canzoni è l'estrema semplicita, semplicità talmente semplice da poterne rimanere offesi, perché loro ci hanno fatto i soldi con questa semplicità; sono diventati molto famosi e acclamati, perciò un pò di merda ci si rimane.
Cosa ho dimenticato di dire? Mmmh... Da comprare!
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