C'era una volta il brit pop. 

C' erano i Blur, c'erano gli Oasis, i Pulp, i Suede e c'erano i Verve

Tutti amavano gli Smiths, qualcuno anche i Beatles, qualcuno anche Bowie, qualcuno i Velvet Underground ma la cosa che li univa era la musica. Vivevano in campagna, suonvano gioiosi e spensierati per le vallate incontaminate. Un giorno arrivarono degli imbecilli con carta e penna e con l'aria saccente sorseggiando un thè secco. Udendo le suadenti melodie che li riportavano indietro nel tempo nella loro adolescenza (tutta Beatles e Rolling Stones) appuntarono sul taccuino un vocabolo cacofonico e schifoso: Brit Pop! Così tutti i saputelli e amici dell' imbecille vennero in campagna sedotti dalla musica.

La vallata incontaminata presto diventò una metropoli.

I quattro o cinque gruppetti presero un lavoro sfruttando le loro capacità nel musicare e fecero molti molti soldi in poco tempo. Brit Pop! Brit Pop! Tutti nella metropoli accorrevano per le strade pronunciando questo vocabolo. Però piano piano col passare degli anni i quattro o cinque gruppetti si accorsero che la musica risentiva dell' inquinamento della metropoli, del traffico e del troppo rumore e non riuscivano più a suonare come nei bei tempi andati. La loro passione si era assopita nel tempo, e i soldi avevano avuto la meglio. I Pulp e i Suede purtroppo morirono soffocati dall 'inquinamento metropolitano poichè la loro musica non era conciliabile con gli imbecilli.

Il Brit Pop si stava rivoltando contro gli stessi creatori.

Così arrivarono ad un bivio: o restare, o fuggire, lasciando tutti i propri averi nella metropoli. Gli Oasis, che dovevano tanto, anzi troppo agli imbecilli, decisero di restare nella metropoli, facendo musica al tempo delle mele e cambiando identità in "I nuovi Beatles". I Blur, da sempre amanti della musica e devoti ai loro idoli, cercarono di fuggire. Trovarono un sentiero, e un cartello. Il cartello diceva: "Per proseguire questo sentiero è necessario svoltare".

Il sentiero era tortuosissimo, selvaggio, naturale, ma era pieno di agguati e di insidie e la svolta era faticosa e ripida, ma decisiva e necessaria per fuggire. Tuttavia i Blur presero di pancia la questione, intrapresero il cammino e arrivati alla fine del sentiero, mostrarono la strada anche ai Verve. Questi ultimi ci misero più tempo, anche perchè il loro leader tentò di annullare il piano tentando di tornare indietro nella metropoli per riavere i soldi e la fama spudorata, ma presto cambiò idea vedendo che fine avevano fatto gli Oasis. Così i Verve ce la fecero e subito ricominciarono a lavorare e a musicare nelle vallate.

Ed è così che Ashcroft e soci riprendono in pugno la situazione. Svoltano, eccome se svoltano. La svolta è il cambiamento, l'unica via per uscire dalle strade di città per purificare la musica. Dopo 11 anni da quella "Bitter Sweet Simphony" che tanto diede loro il successo, eccoli i Verve, con "Forth", frutto di un bel po' di lavoro in campagna. Forth, che vuol dire avanti. Bisogna guardare avanti, sviluppando ciò che di buono si era fatto ieri e dimenticando il pessimo.

Ed infatti nel concetto lo si può definire un album progressivo. Non progressivo come genere musicale, sia chiaro. Ma progressivo perchè rinnova il loro vecchio. Vi ricordate le cavalcate psichedeliche e dream di "A Storm in Heaven" e gli anthem pop di "Urban Hymns"? Bene, questo lo si può definire un revival che rinnova la musica migliore della carriera dei Verve, aggiungendo qualche tocco in più. Il richiamo agli Smiths è fisso, sta un po' dappertutto. Un esempio è il pop sintetico/elettronico di "Love is Noise" (una delle hit dell'anno, il ritornello uccide), dal richiamo '80 e dagli echi psichedelici in lontananza. L'innovazione e il cambiamento radicale è tutto dimostrato nella prima traccia, "Sit and Wonder", una sorta di "Tomorrow Never Knows" verveiana, a mio parere il pezzo più riuscito del disco. Ci sta un po' tutto, dai Beatles ai Primal Scream, con un pizzico di Moby. Altro pezzo importante è "Judas", un pop molto fantasioso, dove su un ritmo cadenzato Ashcroft tesse falsetti ad effetto e Cocteau Twins, creando una melodia morbida ma sofisticata.

L'ultima parte del disco è la più incalzante e in un certo senso anche la più rarefatta. Se "Noise Epic" può sembrare nitida agli inzi, il bisbiglio di Ashcroft ci porta nella seconda metà del brano, che ci lancia dritti dritti tra Sonic Youth e rumore. Mentre "Valium Skies" e la sua atmosfera calma e (appunto) da Valium strizza l' occhio ai Galaxie 500, "Columbo" è un mellifluo pop che fa pensare agli Slowdive. E' compito di "Appalachian Springs" chiudere l' album, una leggera ballad sostenuta dalla batteria, indecisa tra psichedelia e rock, ma il finale in dissolvenza è quel che basta.

Tutto sommato è un disco che conferma l'attesa, una sorpresa per chi è cresciuto con i Verve e un piacevole e vario album per chi è in cerca di buona musica. Si aggiunge alle uscite clamorose dell' anno, quella da "gossip", che piacciono tanto ai sorseggiatori di thè secco.

E così  i Verve vissero felici e contenti. Senza Brit Pop.

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