Quella dei ‘'The Verve‘' è una storia che comincia a Wigan, contea del Lancashire, nella sperduta provincia inglese, nell'estate del 1990 quando un gruppo di ragazzi del college di Upholland con la passione per il rock psichedelico dei primi anni '70 si mette insieme: sono il vocalist Richard Ashcroft (inquietante incrocio tra Mick Jagger e Patti Smith da giovani ), il chitarrista Nick McCabe, il batterista Peter Salisbury e il bassista Simon Jones. Di un anno dopo è già il primo concerto londinese e gli inviati delle case discografiche sempre in cerca di nuovi talenti mettono subito gli occhi su di loro, cos' come la stampa, Melody Maker in testa, che comincia già a tesserne le lodi solo sulla base delle loro performance dal vivo. Questo è un dato fondamentale per la musica dei Verve, una band che in studio non ha fatto altro che raccontare e compattare le proprie esibizioni a base di psichedelica e improvvisazione.

'A Storm In Heaven' è il debutto, nel 1993, un anno buono per la band. Nelle loro menti e nel loro cuore c'è la voglia di sfondare le porte della percezione come già tentato dai Doors; nei loro giradischi suonano gli album più belli degli anni '70 e del rock psichedelico. Uno splendido isolamento‘ che li porterà dopo solo due album alle vette di 'Urban Hymns'. Ci vogliono comunque quattro, turbolenti, travagliati e creativamente fecondi anni prima che la band arrivi al proprio capolavoro, che purtroppo risulterà anche il loro testamento musicale: le egocentriche e problematiche personalità di Ashcroft e del chitarrista McCabe si scontrano una volta di troppo e circa un anno dopo l'uscita di 'Urban Hymns' la band si scioglie definitivamente.

I due avevano già deciso di mollare la corsa una prima volta nel settembre del 1995, quando uno scarno comunicato aveva annunciato ufficialmente lo scioglimento del gruppo. Senza McCabe i Verve superstiti, con un nuovo chitarrista, Simon Tong, si ritrovano in studio nel corso del 1996 senza neanche sapere se si tratta di registrare un disco solista di Achcroft o il nuovo lavoro dei Verve. Incidono parecchio materiale, ma le cose non girano come un tempo, perché manca l'elemento collante alla magia musicale dei Verve: la chitarra ‘ spaziale ‘ di Nick McCabe. Ashcroft molla tutto, ha bisogno di guadagnare un po' e va a fare il modello a New York. Sarà il periodo più buio della sua vita, quando sembra che l'antico sogno di fare musica sia miseramente svanito dalle sue mani.

A Natale del 1996 rinuncia all'orgoglio e trova la forza di richiamare i studio McCabe: con lui è tutta un'altra musica. Con Nick nuovamente coinvolto, racconta il produttore Chris Potter, tutti si sentivano più fiduciosi, perché lui è un tipo unico. Suona in modo originalissimo e ha un sacco di buone idee. Ha cambiato completamente molte canzoni del disco. Nick riusciva a tirare fuori cose interessanti dai feedback, cose mai sentite prima. Era difficile controllare i suoni e i rumori come faceva lui. Se i precedenti dischi dei Verve erano delle uniche, lunghe e pazzesche jam probabilmente incise sotto gli effetti degli allucinogeni Urban Hymns non dimentica questa esperienza ma preferisce il formato canzone, quella di tipo classico, grazie alla maturità compositiva raggiunta in poco tempo da Ashcroft, con risultati sorprendenti.

Apre l'album ‘'Bitter Sweet Symphony‘'. ‘Sei schiavo dei soldi e pio muori‘: probabilmente mai una canzone ha detto così profeticamente e ironicamente la verità. Quel successo cercato con anni di duro lavoro e finalmente giunto. Una hit memorabile, una melodia perfetta. Incalzante il suo andamento che conduce il disco alle vette delle classifiche di mezzo mondo. Questa canzone ha aperto molte porte alla band, ha fatto conoscere la loro musica in tutto il pianeta. Il brano è l'appropriato canto del cigno per uno dei più interessanti gruppi rock inglesi di sempre. ‘'Lucky Man‘', "The Drugs Don't Work‘' sono grandi canzoni, rimembranze efficaci della lezione di scuola inglese un po' alla John Lennon e un po' alla Nick Drake. ‘'Catching The Butterfly ‘' è un estratto manipolato a dovere di una jam lunga originalmente oltre mezz'ora: è musica che viene fuori dal nulla, senza barriere e limitazioni. La canzone prima è stata suonata e poi è stata scritta. Un procedimento che lascia libertà ma anche difficile in quel modo raggiungere un suono compatto. Ma questa volta ha funzionato. In ‘'Velvet Morning Tong‘' suona addirittura una lap steel che la fa assomigliare a un pezzo di Gorge Harrison.

I Verve sono stati una band capace di sognare così forte la propria musica da volare sopra i trend e le mode passeggere per consegnare ai posteri una manciata di canzoni, di feedback lancinanti, di melodie ‘spaziali‘ che rimarranno sicuramente come alcune delle cose migliori e più originali suonate e incise negli anni 90.

Alla fine, "Urban Hymns" è la riconciliazione delle giovani generazioni cresciute nei dance floor, con il brit pop e con la visione psichedelica degli anni 60.

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