Questa poi! Una band con due chitarristi, un bassista, una graziosa fanciulla alle tastiere (organetto ‘70s per lo più) un cantante e…due batteristi che suonano contemporaneamente!!! Rock psichedelico al 100%.
Vortici infiniti di riff, canzoni interminabili, ritmi tribali, strumenti che sembrano dover suonare per sempre e tantissimo fumo in una stanza dove i componenti del gruppo suonano a testa bassa.


Questo disco è esattamente ciò che mi aspettavo da tanti gruppi che hanno poi deluso le mie fantasie musicali, rifugiandosi altrove. Ci sono canzoni (Hurricane Heart Attack ad esempio) che si rifanno ai Jesus And Mary Chain, ma senza troppo plagiare: parecchie distorsioni e voce sporcata da un suono apparentemente rozzo (curatissimo in verità), altre hanno degli outro pazzeschi che rimandano ai Doors più ispirati (si pensi alla coda di The End, o a qualcosa di L.A.Woman)

La voce del cantante, in alcuni episodi, assomiglia a quella di Richard Ashcroft (Red Rooster ad esempio) la cosa, però, non da affatto fastidio. Insomma, avrete già intuito che questo è un album che non si può assolutamente mettere a tutte le ore del giorno: è pesantuccio e bisogna digerirlo molto lentamente. Ma è veramente bello.

E’ la parte migliore di A Northern Soul o quella mancante di Take Them On On Your Own: meditazioni nebbiose su droga, amore, solitudine dentro ad un vortice che lascia l’ascoltatore confuso al primo ascolto. Dal secondo ascolto in poi…non cambia nulla; c’è sempre un senso di labirintismo che regna sovrano. Il singolo, Baby Blue, non rispecchia appieno le potenzialità di tutto l’Lp, invece, canzoni come Isolation o The Dope Feels Good ne riscattano tutta la validità.

Il difficile arriverà adesso, confermare tutte le grandi aspettative con un secondo album che non faccia buttare nel secchio anche il primo. Ogni riferimento è puramente voluto a tutte le altre nuove rock band di oggi.

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