I Pogues negli anni Ottanta/primi Novanta accompagnavano i miei personalissimi viaggi mentali che sapevano di verde e di sottobosco dublinese. Ho sempre avuto un debole per l'Irlanda, motivato da quelle storie di fazioni politiche, da pescivendole che diventavano eroine nazionali, da quei violini che regalavano musiche irresistibili. Per fortuna in Irlanda non ci sono mai stato, così quei pensieri sono ancora lì, platonici, puri e immateriali.

"Fisherman's Blues" esce nel 1988, dopo una lunga gestazione. E io lo scoprii 6 anni più tardi dalla sua uscita, quando un amico, forse stanco di sentirmi omaggiare a mo' di litania "Red Roses for Me" e "Rum, Sodomy and the Leash", mi disse: "mai sentito parlare dei Waterboys?". Fu così che mi avvicinai a un gruppo che ha segnato la storia della musica irlandese, i miei ascolti successivi e, lo ammetto, anche il modo di approcciarmi alle persone e alle scornature della vita.

Si parte con una ballata dai toni leggeri e tipicamente irish, "Fisherman's Blues", anche se l'enfasi del testo rimanda a certe liriche già contenute in dischi come "This is the Sea", sempre dei Waterboys.
In "We Will Not Be Lovers", Mike Scott, il cappellaio matto, riduce i piccoli tic o le nevrosi legate all'amore a un semplice, corazzato ritornello, che picchia martellante: "We Will Not Be Lovers". Ma forse non ci crede nemmeno lui... Perché questo disco è in realtà il trionfo di Amore.
E infatti arriva, successiva, "Strange Boat" che spiazza per la dolcezza e per una linea melodica tersa, quasi senza tempo. E il tempo del brano precedente, con quell'asserragliarsi di violino e chitarre, lo abbiamo ancora nelle orecchie. Questo "Strange Boat" è miele e abbandono. Poesia e arrendevolezza.
"Sweet Thing" è Van Morrison. E il Van Morrison di "Astral Weeks", personalmente quello che mi aggrada di più. É uno di quei brani che dici "oddio, chissà cosa ne viene fuori?" e invece, complice una specularità di esecuzione rispetto all'originale, solo meno jazzy e più "piena", il brano non sfigura. Anzi.
"And a Bang on the Ear" rimane una ballata nel senso classico. Scott passa in rassegna i suoi amori con una brillante verve. Si gioca a rimembrare il tempo passato, con la consapevolezza di avere donato "tutto il proprio amore" e quindi senza rancori.
"Has Anybody Seen Hank" è la passionale invocazione per un amico scomparso, abbattuto da galere, femmine e alcool. E il nostro Scott ne evoca la presenza per un solo istante: "voglio sentire una singola nota/dalla sua gola solitaria". Ma Hank, ovvio, non risponde.
"When Ye Go Away" è l'ideale prosecuzione di "And a Bang". Ma in questo lascito non c'è spazio per una fredda analisi. La straziante voce di Mike Scott ulula la sua mestizia candidamente: "e piangerò quando te ne andrai".

E canta la consapevolezza dell'abbandono ineluttabile e io penso all'ovvietà di tornare a respirare polvere e di piangere sotto i pioppi il 2 novembre. Taluni la chiamano "sensibilità".

Si chiude il tutto con una poesia di Yeats.

Come away, human child
to the water
Come away, human child
to the water and the wild
With a faery, hand in hand
for the world's more full of weeping than you can understand

Ed è un eterno ritorno. Una maledizione benevola. Che fa dire, cantare a squarciagola,

vorrei essere un pescatore
spinto dalle onde
lontano dalla terra arida
e dai suoi ricordi malsani
tracciando la mia scia con amore e abbandono

E allora ripartiamo, insistiamo, navighiamo!

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