Nemici dell’equalizzazione stereo?! Assidui risparmiatori di strumentistica?! No! Semplicemente estrosi geni al servizio di una musica strana, semplice ma completa. Questo è in poche parole il riassunto dei The White Stripes, e di Elephant, ultimo lavoro dei fratelli in bianco e rosso, un album ricco di canzoni degne dei primi posti delle chart europee, che vede nel singolo “Seven Nation Army”, la punta diamante, ma che non resta solo all’interno di un CD che offre tanti brani decisamente validi.

La composizione del gruppo è tanto semplice quanto stramba e geniale: un chitarrista/cantante e una batterista anch’essa cantante. Questo, a differenza di quanto si possa pensare, non impoverisce per niente il suono di questo gruppo (e in questo senso sono state fatte alcune rettifiche per rendere il sound il meno vuoto possibile, come l’utilizzo di effetti particolari per la chitarra) anche se, obbiettivamente, la mancanza di un basso in alcuni punti, ma soprattutto in alcune canzoni come “I Junst Don’t Know What To Do With My Self” si fa sentire, ma nonostante ciò il sound di da questo album resta originale e valido, anche perché, oltretutto, in alcune canzoni è presente è decisamente azzeccato l’utilizzo di un pianoforte o comunque di tastiere.

C’è da dire che i The White Stripes non si sono certo impegnati molto nella scelta dei titoli delle canzoni, titoli che riprendono sempre o la prima strofa del brano o il nucleo del ritornello, ma anche questa è una caratteristica particolare di questo lavoro. Un altro fatto che caratterizza la completezza di quest’album è la durata delle canzoni: possiamo trovare infatti qualunque tipo di durata, da brani lampo come “Hypnotize” (che dura solo 108 secondi, o se preferite 1’48’’), sino a brani interminabili, come “Ball And Biscuit” (che arriva a durare la bellezza di 7’18’’), passando da brani di durata regolare come “Black Math”(3’03’’) o come “The Air Near My Fingers”(4’09’’). Ma oltre questo la caratteristica principale, ovvero la capacità di essere un CD a tutto tondo, è sottolineata principalmente dagli innumerevoli stili musicali che quest’album tocca: infatti, rimanendo sempre sulla falsa riga del rock più strumentale, Elephant varia dal rock ’n roll anni ’70, al rock psichedelico, fino anche al country. Tecnicamente è da sottolineare la grandissima fascia di effetti usati per la chitarra, ovvero oltre ad un uso massiccio di un innumerevole quantità di distorsori e dei tipi più disparati, si possono sentire in svariati brani effetti tipo “synth“ (come octaver, per riprodurre il basso, ad esempio in “The Hardest Button To Button”).

Ma sempre tecnicamente è da evidenziare la particolarità della batteria: prima di tutto è caratteristica la scarsezza dei pezzi utilizzati, pochi tamburi e pochi piatti (addirittura viene scartato anche l’utilizzo del charleston); in secondo luogo è innegabile la mancanza assoluta di un attacco serio di batteria, ed infatti i The White Stripes si limitano ad un colpo su un crash per far capire che si è entrati nel ritornello, ed è eccessivo l’uso del timpano e della cassa suonata a battere il tempo, ma questo stile musicale non è un compromesso tra capacità e possibilità, bensì è proprio una scelta musicale, come hanno spiegato in un’intervista gli stessi The White Stripes. Anche se ancora non riesco a capire come fanno a fare i loro pezzi live…

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