I quattro britannici giungono ad incidere questa opera nel periodo forse più favorevole ed ispirato della loro carriera. "Who's Next" segue a "Live at Leeds" e soprattutto a "Tommy" entrambi di superba fattura e, questo disco, riconferma in pieno, le straordinarie capacità della band.
L'album si apre con "Baba O'Riley",  introdotta da un segmento eseguito con il sintetizzatore, la traccia si accende con l'incidere della voce di Daltrey tanto decisa e graffiante in questo frangente, ed in quasi tutto il brano, quanto limpida e pulita nella parte centrale, seguita da eleganti scale di chitarra, e ritmati colpi di batteria. Tuttavia il pezzo forte è il finale, cullato dalle dolci e nostalgiche note del violino che piano piano acquistano vigore, rapidità fino ad amalgamarsi  vorticosamente insieme agli altri strumenti in una spirale di suoni. Brano amaliatore ed affascinante.
La traccia numero 2 "Bargain" inizia lungo le armoniose corde della chitarra, per poi d'improvviso esplodere nelle strepitose esibizioni di Daltrey che plasma con i suoi acuti, il suo tono grezzo, ed il suo timbro vocale l'intera song, specialmente nella sezione iniziale dov'è accompagnato da Townshend e Keith Moon, rispettivamente alla chitarra ed alla batteria. Dopo 2 minuti intensi il ritmo cala vertiginosamente, la forza del canto si fa tenue e ci si ritrova davanti quasi ad un sussurro calmo e dolce. Successivamente il suono aumenta  la sua consistenza, e culmina nel ritornello urlato da Daltrey, come nel primo segmento, infine il brano si spegne sui lunghi assoli del sintetizzatore unito alla chitarra. Track 3 "Love Ain't for Keeping" è una canzone prettamente Blues nella melodia, nell'approcio vocale, nel suono della chitarra, da sottolineare alcune venature di Country.
Si giunge così a "My Wife" l'andamento fin da subito è piuttosto cadenzato, le parole si sussegguono velocemente una dopo l'altra supportate soprattutto dalla batteria di Moon autore di una buona prova, un brano Rock apprezzabile ma nulla di particolare.
"The Song Is Over" comincia con il suono aggraziato, elegante, romantico ma terribilmente penetrante del pianoforte che duetta in perfetta comunione con la lisergica voce di Daltrey che, ad un certo punto si trasforma  diventa roca, dura, profonda, arrabbiata e sfocia in un refrain coinvolgente e tirato. Successivamente ritorna la quiete iniziale, poi ancora un cambio di ritmo repentino ed infine ancora una parte calma e ballabile che consegna il finale alla batteria. Una traccia sicuramente piena di mille sfaccettature.
Da una grande canzone ad un'altra, sesto pezzo dell'album "Getting In Tune", l'apertura in punta di piedi e sopratutto in punta di chitarra fa ricordare vagamente "Imagine" del grande Lennon, poi però l'ugola di Daltrey decide d'infuocarsi e si produce in sezioni di breve durata in cui si può notare tutta la ruvidità e la duttilità di questa voce, sempre alternata a momenti in cui i decibel e l'impatto della traccia calano. La svolta del brano avviene nella parte conclusiva, non ci sono pause il ritmo è trascinante, Townshend al pianoforte scatenato si esibisce in fantische cavalcate, Daltrey arrabbiato, e duro come non mai è artefice di una prova superlativa. Canzone memorabile sopratutto per esecuzione strumentale d'insieme.
Con "Going Mobile" non si rallenta, sound Rock intervallato ognitanto da frangenti più calmi, la canzone culmina nel ritornello, anche qui Daltrey è piuttosto ispirato, consistente è anche la presenza della chitarra, ne scaturisce una traccia apprezzabile, rapida e travolgente, in particolare nel finale, dove è corrosa da lunghi e distorti guitar and Bass Solos.
Penultima Track, probabilmente il capolavoro dell'opera. Il pezzo, nella prima sezione è una ballad vera e propria, rigorosamente Chitarra/Voce, melodia triste, melanconica, supplichevole, quasi rassegnata, si protrae sino a metà brano quando, ad un tratto, la melodia cambia radicalmente, ma sopratutto la voce diventa sporca, ruvida, e sprezzante, tutto questo purtroppo dura meno di un minuto, poi rimane solo il tempo di chiudere riprendendo il sound iniziale.
Ultimo lavoro "Won't Get Fooled Again" aperto dal sintetizzatore di Townshend è forse il pezzo più Hard Rock del disco, segnato profondamente dai pesanti Riff dello stesso Townshend, dal basso di Entwistle che si cimentano in lunghi assoli, tipici dell'Hard, in chiusura si può riascoltare l'entry affidata al sintetizzatore ed ancora massicci riff conditi pure con un terrificante urlo firmato Daltrey.

Il miglior disco per gli Who, estremamente eclettico e polivalente.  

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