Le cose che contano sono il garage ed il punk.

Non cantano propriamente così i Wylde Mammoths, che da bravi ragazzi sostengono che contino soltanto le loro ganze ed essi medesimi (e pure l'arte dello spogliarello).

Però suonano garage-punk e sono pure tra i primi ad incidere per la Crypt; per cui, seppure inconsciamente, quello che conta davvero è il garage e pure il punk.

Il gruppo fa base in Svezia, quando la Svezia è pressappoco il paradiso in terra per qualsiasi garage-punkster che si rispetti, e da lì vengono i Nomads ed allora è tutto chiaro. Lì si fanno le ossa ed un po' di sana gavetta, incidono il primo album e poi questo «Things That Matter».

Per comodità, sì, li si può convogliare nel filone del revival garage-punk, ma ancor di più i Wylde Mammoths si rifanno al rhytm'n'blues ed al beat predicato da Stones e Pretty Face agli esordi. Insomma, molto più vicini a gruppi come Crawdaddys e Chesterfield Kings piuttosto che a Gravedigger V e Fuzztones.

Anche perché non si è mai visto, fino ad allora, un gruppo garage-punk intento a coverizzare i Go-Betweens.

Ed allora in «Things That Matter», a fianco delle immancabili sfuriate, trovano posto ballate inconsuete per il genere che lambiscono il folk, come «Ain't No Use», «Make Up Your Mind» e «It's The Same All Over The World», pure inframezzate da coretti melodiosi assai e dal sapore inconfondibilmente sixties.

Poi, in realtà, le sfuriate non sono mica così furiose: «Things That Matter», «Good Love», «C'mon Little Girl» e «I Cried Like Child» sono più schegge di rock'n'roll sparate belle veloci che fuzz e farfisa a manetta: ascoltare, per credere, quella «Down And Out» che sta a mezza via ed è un piccolo gioiello.

Molto bello il disco; molto bella anche la copertina, di quelle che ti fanno rimpiangere l'epoca d'oro del vinile.


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