Il lavoro della discordia, il pandemonio sonoro del sestetto di Stavanger che ha fatto inorridire molti dei loro fans più scatenati e li ha trasformati, in ambito metal sia chiaro, in oggetto di derisione e bersaglio di sguaiate recensioni.

Quinto capitolo della discografia dei norvegesi questo "Assembly" si rivela, al contrario, un disco carico di pathos, sinuose partiture al limite della follia, seducenti loops al limite della trance più sgargiante, intriso di spudoratezza commerciale ma al servizio di pezzi sempre intriganti. Interessante il duetto vocalico tra Raymond e Liv, dove la sobrietà del primo abbraccia dolcemente il talento istrionico della seconda, capace di districarsi in territori assai diversi (soprano gothic-euro pop-dance) con un'abilità disarmante.

Ottimo il lavoro delle chitarre del duo Claussen-Thorsen imprimente un groove notevole ed in grado di donare quel quid di aggressività rock-metal a tracce dalle strutture leggere e sperimentali. Non da meno la sezione ritmica dai soffici ma sobri rintocchi del bravo Hein-Frode. La band si muove su territori di impossibile catagolazione regalando emozioni a dismisura nell'arco di tutto l'album, svariando da trame industrial rock a campionatori di richiamo electro-dance, a eteree note di synths sognanti fino ad arrivare a soffuse armonie pop-rock che, sicuramente, verranno additate di "svendita commerciale".
Stratosferica l'apertura di "Automatic lover", dal crunch chitarristico granitico che si accoppia follemente con keys allucinate. il modernismo elettronico domina la gradevole "Universal race", veloce e inguaribilmente agile in un refrain di semplice assimilazione. Segnalo le seducenti note della semi-ballata "Starlit", dove Liv e Raymond si incontrano tristemente in un effluvio di tristi melodie, il tutto scandito da tastiere progressive, teneramente romantiche ed il touch di un drumming sinuoso ed elegante. Perfetta.

"Flickerlight" ritorna sui territori dell'opener, catchy riffs rockeggianti ci introducono a soffici male-vocals per poi esplodere in un ritornelllo molto "easy"dominato dalla bravura di una splendida Liv. Emozioni a profusione anche nella sperimentale "Liquid man" e nel pezzo di chiusura "Motion", etereo sospiro di sole tastiere ethereal-ambient si sfogano in armonie dal tocco pop ed, ancora, il cantato femminile languisce e attira in una morsa di seducente malinconia.
Produzione perfetta, suoni moderni, arrangiamenti raffinati ed imprevidibilità sono gli ingredienti base di questa ricetta assai indigesta ai fans del duo "Theather of Tragedy"-"Velvet darkness they fear" ai quali posso solo rammentare che il combo norvegese ha sempre realizzato dischi assai diversi l'uno dall'altro, immolandosi all'altare della sperimentazione e, quindi, richiando forse "troppo".

Questo è un lavoro di qualità, idee e composizioni di rara efficacia.

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