Proprio in questi giorni i Thee Oh Sees hanno annunciato un momento di pausa a tempo indeterminato, a causa di problemi logistici (a quanto pare John Dwyre, la mente del progetto, si trasferisce a LA, mentre la vocalist-tastierista Brigit Dawson a Santa Cruz) ma anche per riposarsi data la loro incessante attività. Dal 2007 a oggi si possono contare 12 album, più tonnellate di singoli, split, raccolte e una serie infinita di live che gli ha portati a girare in tutto il mondo. Ma non solo: si può dire che John Dwyre non si sia fermato dal 2003, quando ha formato i Pink & Brown, e sembra difficile da credere che riesca a stare per molto tempo inattivo. Tra le band che ha formato o con cui ha suonato bisogna sicuramente ricordare i Coachwhips, The Hospital, il progetto lo fi ibm gay Zeigenbock Kopf, i Netmen con Brian Gibson dei Lighting Bolt. Ma la lista è ancora lunga.
Se John Dwyre descriveva i Coachwhips, con la loro carica punk e selvaggia,"droga e pesantezza", le origini di questo gruppo possono essere indicate come "droga e leggerezza". I primi dischi del nostro hanno decisamente un piglio meditativo e rilassato, rispetto ai furori del passato. Rilegata ad un ruolo marginale la batteria, il nostro registra con semplicià la sua chitarra riverberata, droni elettronici e la sua voce in falsetto. Dal primo album "34 Reasons Why Live Goes on Without You/18 Reasons to Love your Hater to Death" (in cui il nome della band è segnato come OCS, Orinoka Crash Suite) fino al disco "Sucks Blood" (qui come Thee Ohsees) del 2007 il gruppo approfondisce una ricerca musicale intima, semplice, a volte ironica a volte irriverente, rigorosamente lo fi. Fino all'album di svolta "The Master's Bedroom is Worth Spending a Night In" (in cui il nome della band diventa finalmente Thee Oh Sees), il sound del gruppo è una sorta di folk drogato, voluminoso, etereo, ma punk, data la natura grezza e dei disturbi noise. Seppur canzoni semplici, il nostro ha davvero una capacità compositiva originale: c'è molta avanguardia nei brani, per suoni, strutture e richiami.
"The Cool Death of Island Riders" è del 2006 ed è probabilmente l'album più rappresentativo del periodo. Il primo brano "Guilded Cunt" può essere il manifesto estetico della band: le voci in falsetto di Dwyre e della Dawson fluttuano eteree e sarcastiche su una chitarra riverberata. Più che sulla tecnica Dwyre fa uno stupefacente (in tanti sensi) lavoro sui suoni: quegli accordi irriverenti ed inquieti sono facilmente riconoscibili, dato il timbro unico. Il secondo brano, un'altra ballata dilatata, "The Dumb Drums", con il taglio sbagliato della partenza, mostra quanto la band preferisca una poetica dell'errore, del semplice, dell'ermetico. La strada aperta da Daniel Johnston e Calvin Johnson sembra ben digerita e innovata.
Un apertura psichedelica ce la riserva"Losers in the Sun" con i piatti della batteria impazziti, chitarre, banjo e il cinguellio degli uccelli. Questo fragore si ferma per lasciare lo spazio alle voci per poi ritornare alla fine. La traccia "Drone Number One" segna la metà del disco, e come spiega il titolo si tratta di un drone da cinque minuti. Sembre l'elettronica apre il brano "Island Riders" per proseguire nella tipica ballata ohseesiana, mentre "Cool Death" ha un piglio più blues. Questo brano viene disturbato da chitarre distorte e ritardate, e in tutto il pezzo c'è un abuso di tremolo. "Broken Stems" invece ad accompagnare la chitarra e la batteria sono una sirena ed unn theremin. E finalmente arriva "We Are Free" una dei punti artistici più alti del disco. Qui i toni, all'inizio, sono più meditativi e riflessivi, fino a salire in una esplosione catartica di chitarre e batteria. Dopo questo brano rimane "Drone Number 2" e la dilatatissima "You Oughta Go Home", in cui il theremin ed altri suoni reggono le voci melodiche ed evocative. In questo brano la Dawson sembra una banshee che lancia al vento le sue tristi disperazioni.
E dopo tutto ciò? ci sarà ancora "Blood Sucks", ma poi non si ritornerà più indietro. Il sound del gruppo sarà molto più rock e garage. Seppur i Thee Oh Sees sapranno mantenere uno spirito originale, un ottima cura del suono, bei brani e una carica energetica invidiabile nei live, scompare quella caratteristica "avant" che rendeva così particolari e stralunati i dischi del primo periodo. A John Dwyre non interessa rimanere fedele a sè stesso, ma innovarsi ed essere libero di fare ciò che preferisce. In ogni caso a me, fan della prima ora, nel sentire questa devoluzione in qualcosa di più classico e convenzionale, ho avuto un po' di amaro in bocca.
Per chi ama la musica lo fi, questo disco è sicuramente un must. Per chi preferisce dei suoni più classici, meno sgangherati e più "rrock" sicuramente è consigliabile altro. Disco molto difficile quindi da giudicare: per quel che mi riguarda sarebbe un cinque bello e buono, ma molti musicisti probabilmente lo smonterebbero in pochi minuti. Con gli Ohsees (e con il lo fi in particolare) ciò che conta è l'ispirazione, non la tecnica e la registrazione. Di ispirazione, ragazzi, qui ce n'è a palate, l'album fotografa un momento particolarmente felice della vita artistica di Dwyre.
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