Questo album, pubblicato nel 2005, è un "ensamble" di due opere precedenti per i Therion: "A'arab Zaraq Lucid Dreaming" e "Crowning of Atlantis", in versione remixata e rimasterizzata.

Chi possedesse gli album citati, naturalmente, potrà certamente farne a meno, ma chi invece, intende conoscere i Therion e capirne per sommi capi la direzione artistica, non potrà che possederlo, e, come al solito, goderne sempre di più. Luci soffuse, voci liriche, arrangiamenti orchestrali, Heavy Metal strutturato e complesso, canzoni "storiche" delle band che, sembra, abbiano influenzato i Therion, quì sono presenti. E dall'inizio, con "In Remembrace" e "Black Fairy" subito si capisce dove i Therion hanno iniziato il loro percorso e dove poi siano andati a parare: raffinatezza, genio e sregolatezza per i campioni di ogni cosa sia melodia e decadenza, senza nessun dubbio di sorta. A questo punto, primo break, e i Therion ci propongono dapprima "Fly to the Rainbow" degli Scorpions, con il suo inseguirsi di riff su riff di chitarre, per poi scomparire nella parte centrale dapprima attraverso un rallentamento con un organo, poi con dei fiati, per poi tuffarsi in un intermezzo sussurrato e misterioso che sfocia, alla fine, in un ritornello irresistibile.

La seconda cover invece è affidata a "Under Jolly Roger" eseguita dal vivo, in origine scritta e pubblicata dai Running Wild nel 1987, che si dimostra essere un brano potente e corposo, che i Therion eseguono in maniera stranamente abrasiva. Si passa a "Symphony of the Dead", strumentale e affascinante nei suoi barocchismi, e poi a "Here Comes the Tears" dei Judas Priest, che ne conserva bene e ne amplia il fascino e la solitudine. Fine del break, e si ricomincia con le canzoni della band: "The Crowning of Atlantis", "Mark of Cain" e "Clavicula Nox", questa, in particolare, completamente riarrangiata e resa più buia dalla voce lirica maschile anziché, come in origine, da quella femminile, e il cambio, è estremamente convincente, risultando di una tristezza e decadenza disarmante. Ennesimo break, ed eccoci a "Crazy Nights" dei Loudness del 1985, con chitarre raschianti e ritmo sostenuto, talmente tanto che, quasi sembra impossibile che a suonare siano i Therion!

"From the Dionysian Days" è, certamente poi l'episodio più barocco dell'intero album e non può lasciare indifferenti ma, passando da questa, occorre poi fare attenzione a "Thor", cover dei Manowar, potentissima e pesante, a espressione che, i Therion sono una band metal al 100%, con velleità diverse certo, ma che se ci si mettono, sanno pestare davvero duro, ed in questa canzone, anche se è una cover, ci riescono benissimo! Impossibile stare zitti e non cantarla a squarciagola. E adesso, i finali, affidati a una "Seawinds", cover degli Accept del 1979, data in maniera dolcissima e atmosferica, sfruttando il meglio di ciò che i Therion sanno darci, e a una "Black Sun" dal vivo che crea una tensione e un disagio che già nella versione in studio erano palpabili, ma che quì vengono ancora più accentuati dall'esecuzione perfetta e precisa, con in più il feeling della prestazione in presa diretta.

In definitiva, una antologia che serve, come ho detto, a chi si sta accostando ai Therion, per il resto, invece, nulla di nuovo, oltre alla magnificenza superba della band, naturalmente.

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