È difficile recensire un album dei Therion.
La loro musica ha la capacità, ogni volta che se ne sente l'eco, di stupire, e ha il pregio di far scoprire, in se stessa, nuovi particolari prima sconosciuti, rivestendo di fascino e grande raffinatezza composizioni complesse e liricheggianti, ispirate da un genio sconosciuto ai più, invisibile, questo è certo, se non ci si siede e non si drizzano bene le orecchie per poterne comprendere tutte le differenti facce e tutti quanti gli ambiti e i recessi. Anche se affermare tutto questo, bisogna ammetterlo, con i Therion, è più facile a dirsi che a farsi.
"Vovin" è l'album che fu pubblicato, a suo tempo, subito dopo lo sperimentale, e fortunatissimo "Theli". Anche se i paragoni tra i due album risultano essere assurdi, si può affermare con certezza che i bordi indefiniti e gli spessori strumentali della band, in questo lavoro, sono enormemente cresciuti e si sono potenziati. Al lirismo ancestrale, arcano e decadente delle canzoni, si aggiunge quel tocco sempre serpeggiante di immane nostalgia e tristezza; un pò come voler esprimere per concetti un'opera ad immagini ricorrendo spesso a metafore e trucchi magistralmente connessi tra loro. Un percorso simbolico pervade "Vovin", che cammina lungo un equilibrio d'orchestra liquido e ammaliante e si districa lungo crinali di rocciosi riff di chitarre, potenti, ben strutturati, e precisi al milionesimo di millimetro.
"The Rise of Sodom and Gomorrah" è il preludio ad un capolavoro tempestato di gemme sonore e di preziosi barocchismi che non risultano essere mai noiosi, anche se, nella loro ossessiva e vivace speculazione sonora, possono essere giudicati, a volte, spiazzanti. Ma in fondo, proprio questo ci si aspetta dai Therion: che sappiano stupire, che siano sempre superlativi, che sappiano mettere insieme in maniera indistinguibile le giunzioni tra generi diversi senza riuscire a capire dove inizino i primi e dove finiscano i secondi. E, se mi si consente, con "Vovin" ci riescono eccome, creando una pura opera d'atmosfera, un puzzle intricato eppure sconcertanete di sonorità espessione di un'arte finissima e alimentata dal genio che li possiede. Inutile descrivere l'album canzone per canzone, mi limiterò solamente a citare quelle che più riescono a calare l'individuo in quella particolarissima atmosfera di cui parlavo sopra, ma, sia chiaro, solo a titolo d'esempio e non per denigrare le altre perché, lo si sappia, per chi ancora non ha ascoltato "Vovin", che ogni canzone è un tassello a sé, intriso di una magnificenza incredibilmente forbita e di una decadenza sublime, che non può che intrappolare.
E dunque, lasciatevi incantare da "Clavicula Nox", da "Black Diamonds" (mai titolo fu più azzeccato per una canzone che esprime bene il concetto che vorrei comunicare per tutto il lavoro), da "Black Sun/Draconian Trilogy", da "Wine of Aluqah", da tutte quante le altre ancora, augurandovi, se solo si potesse, che il sogno quì descritto non finisca mai.
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