Si sa, il Regno Unito è imbattibile in fatto di esportare gruppi d'ogni sorta che vengono subito etichettati come imperdibili, next-big-thing, new sensations, per poi essere abbandonati nel giro di un album. Se si vuole sopravvivere, bisogna avere il talento e la creatività di potersi reinventare occasione dopo occasione, senza peccare troppo in citazionismo e riciclaggio delle mode del momento. I These New Puritans fanno parte di questi superstiti.

Partiti con "Beat Pyramid" del 2008, esordio prematuro e acerbo sebbene interessante, hanno fatto subito breccia nel cuore della critica diventando, appunto, una delle tante rivelazioni emergenti britanniche. Per fortuna a capo della formazione c'è un ego strabordante, anche fastidioso, ma che si rivela a dir poco necessario: è quello del leader Jack. Lo guardi in faccia e già scorgi la sua spocchia: nominato uno degli uomini più cool del pianeta secondo NME, chiamato da Dior per sonorizzare la sua sfilata moda uomo 2007 (con il pezzo post-punk di quindici minuti "Navigate, Navigate").

Ebbene, dietro la naturale antipatia cool e hipster che scatena il leader si nasconde l'indole di un genio. E se non è genio, allora, è uno che straripa di idee. Per il capolavoro "Hidden" (sempre più convinto che sia un capolavoro... dopo tre anni ancora non ha perso un colpo e non è stato scalfito dal tempo), secondo album del gruppo, ha fatto tutto da solo e in solitudine, chiamando i compagni di merende solo per completare le registrazioni in studio. E già di post-punk ballabile non c'era più nulla (se non la sola "Fire-Power"): al suo posto un magnifico ensemble di ottoni, fagotto, percussioni, tamburi, cori femminili e di bambini, melodie senza tempo, aggressività, dolcezza...

Un cambiamento radicale capace di spiazzare, affascinare, persino allontanare. A smuovere la musica dei These New Puritans è il rischio. Rischio che si ritrova in questo terzo capitolo, "Fields Of Reeds". Chi ha amato "Hidden" potrebbe restarne deluso: ancora una svolta in toto che rifiuta il ritmo serrato, la violenza, il battito.

Come molti di voi già sapranno, a me piace associare immagini ai dischi che ascolto. Ecco. Se per "Beat Pyramid" ci vedo un gruppo di ragazzini hipster che pogano fino a sudare sangue e per "Hidden" non c'è altro che una guerra combattuta in un cielo nero invaso da stelle, in "Fields Of Reeds" vedo infiniti campi di zucchero filato. 
Melodie allungate, spesso e volentieri ostiche, dove la musica surclassa la voce. Arrangiamenti fumosi, impalpabili, colmi di poesia. Alla facile prosecuzione dell'entertaining o di un "Hidden 2.0", i These New Puritans hanno preferito avvolgere l'ascoltatore con una fredda dolcezza. Si mantengono distaccati, ma sanno benissimo come incantare.

Dallo splendido singolo "Fragment Two" (tra le più belle canzoni di quest'anno) ai solenni e straordinari nove minuti di "V (Island Song)", passando per la paradisiaca purezza della title-track e l'ossessiva "Organ Eternal", che sembra richiamare (un po' alla lontana, ma comunque il riferimento mi è parso palese) certe cose dei Dead Can Dance.

L'album costruisce paesaggi di una meraviglia che va scoperta. "Field Of Reeds" non è immediato, non è neanche complicato, ma è uno di quei dischi che si rivelano con gli ascolti. Nove pezzi che scorrono tra pianoforte, archi, fumate elettroniche leggere e fiati.
Se si dovesse per forza trovare un qualche paragone su come "Field Of Reeds" suoni, allora, i primi nomi che vengono in mente possono essere i Talk Talk o i Sigur Ròs. Ma sono paragoni alla lontana, ispirazioni, non copie. Il suono dei These New Puritans continua ad evolversi, a cambiare, a regolarsi, ma resta sempre originale, distinguibile, sorprendente. 

"Field Of Reeds" è un bocciolo. Se non lo annaffi e non te ne prendi cura, muore. Se invece ci si prende l'impegno di farlo crescere, allora darà origine ad un magnifico giardino.

Da non perdere.  

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