They Might Be Giants – A User’s Guide To They Might Be Giants (Rhino/Elektra, 2005)
I più fortunati di noi, se addito uno “strumentopolo misterioso”, se abbozzo un “ballettopolo”, se dico “Tisca Tusca Topolino”, sanno di cosa parlo. La sigla della non infausta (lo dicono gli aruspici) serie 3D “La casa di Topolino”, se ho letto bene i titoli di coda (a proposito di topo), è opera loro. I They Might Be Giants. I chi? A riguardo dei The Who, la dichiarazione d’intenti, a rigor di suono duro, distorto e singhiozzante dell’epocale “My Generation”, “Hope I die before I get old”, i TMBG, nel loro programmatico album di debutto del 1986, l’han trasformata in una quadriglia dal titolo “I Hope that I Get Old Before I Die”. L’indizio è già iniziato. L’inizio è già indiziato. In quell’ LP c’erano anche “Youth Culture Killed My Dog” e “Nothing gonna change my chlothes”. Qui, invece, ci troviamo difronte ad una raccolta. Ad una “guida per l’utente”. Come recita l’adesivo applicato sul CD “29 Must-Have They Might Be Giants Classic Tracks on 1 Disk From 9 albums, 17 years, 2 Johns”. I “Johns” sono John Flansburg e John Linnell. Uno chitarra, l’altro alla fisarmonica, tastiere e sax. Cantano entrambi. OK. Perchè mai rigettare le raccolte? O, almeno non questa! Qui serpeggiamo, tra suoni casalinghi e lavorato serico, fra brani famosi e brani “offbeat”, ma rappresentativi. Canzoni che raramente superano i due minuti, ma sono stipatissime di idee. Ridicole ed irriverenti. Ironiche. Confacenti a new weaver che si sfottono anche da soli. E suonano proprio come quando vostra moglie vi sorprende a mangiare fuoripasto!
Eredi del parodismo zappiano, almeno nei primi lavori, e dei pastiches dei Residents, ma quanto questi erano votati all’avanguardia, tanto loro risultano figli del Pop più corrivo e di consumo. Han un che di Elvis Costello. Come la Bonzo Dog Doh Dah Band fanno incetta di nonsense. Mascherano l’intelligenza con l’idiozia e viceversa. Hanno un approccio enciclopedico e dissacrante alla storia della musica popolare. Con l’urgenza del Rock, ma integralmente ludica. Dipinti surreali, humour alla Monty Pyton, guitti degni del miglior partito della camminata beota! Della “Great Society” americana ritraggono il (mal)costume e la (mala)parata. Poi effigiano la condizione umana con effetto comico, cosmicomico e cartoonistico.
I loro sketch parodistici sono concitatissimi, arrangiati in modo paradossale, orchestrati in modo grossolano, ma non farraginoso. Stop and Go fulminanti. Interruzioni che sembrano fanfaronate. Ripartenze celeri. Senza motivo. Motivi senza motivo. Illuminanti per questo.
Cloroformizzano il Music Hall ed il Pop, liofilizzano il Rock e il Folk, conservano a lunga durata il Country. Dentro ai loro armadi, “dove gli uomini sono vuoti soprabiti”, ci sono Beat, Ragtime, Doo-Wop, Polka, Hard Rock, Vaudeville, ballate Soul, Country ’n’ Western, Blues, Hip Hop, Easy Listening. Di stanza a Brooklyn, “la gomma del ponte”, ma originari del Massachusetts, noto per la vulcanizzazione della gomma e, più recentemente, per gli studi sui processi di produzione della butadiene da fonti rinnovabili. Ecco, in continuità e giustificato, l’interesse anche per i ritornelli Bubblegum!
Voci nasali, mai chiare, impazziscono di colpevole sarcasmo e mai di innocente malinconia. Sembrano sempre sul punto di intonare uno Yodel, che puntualmente non giunge mai.
Con Boss of me, dalla colonna sonora della sitcom “Malcolm in the middle”, creano il ritornello perfetto, orecchiabile, incazzoso, accattivante, massimale.
You’re Not The Boss Of Me
You’re Not The Boss Of Me
You’re Not The Boss Of Me
And You’re Not So Big.
Lo ripetono due volte. Che si vuole di più’? È così bello che si impara subito. Lo canti con immediatezza. Solo che c’è piccolo problema; bummmm! Dopo la strofa “n°2”, cominci tiratissimo a cantare, e hai pure in mente un bersaglio, ma…
You’re Not The Boss Of Me
And You’re Not So Big.
Tolgono due versi!!! Anticipano l’epilogo, lavorano di sottrazione. La terra ti cade da sotto i piedi e sprofondi. Il Pop è una grande fregatura, credevi aggiungesse qualcosa alla tua vita e te la toglie subito. Una celia. Uno scherno. Un’inezia? Uno scherzo tanto stupido da essere geniale. A me fa ridere come poche altre cose. Infrangono l’impeccabilità che avevano appena creato, come se Shakespeare togliesse due versi ad un sonetto. Stessa identica cosa. E via!
“Don’t let’s Start”. Un Funky melodico alla Talking Heads. Completo di una completezza inspiegabile. Adatto a reprimere i più impellenti impulsi alla compagnia nel castoro.
“Istanbul Not Constantinople”. La riprendono dai Four Lads, gruppo vocale canadese dei 50. Gli autori, Jimmy Kennedy e Nat Simon, si erano rifatti palesemente a “Putting On The Ritz” del geniale Irving Berling (1929). Loro ci buttano dentro ritmi balcanici, violini tzigani, fisarmonica, ottoni, coretti idioti. Il tutto in una grandezza totale per il (suc)cesso.
“We’re The Replacements”, ritornello bubblegum per canzonare il gruppo (spesso impresso sulle magliette di Winona Ryder), il suo status e i suoi parties. Il ghiribizzo di irridere il divismo del Rock.
I palindromi sono divertenti. “O mordo tua nuora o aro un autodromo”. “Recai piacer”. “E Nilla gelava nuda, ratta radunava le galline”. Ma il migliore l’han intuito loro: “I Palindrome I”. E, ovviamente, ne han fatto una canzone. “You, Son of a Bitch, I Palindrome I!”.
“Birdhouse in Your Soul”, un surf epico, fa molto ridere malgrado sia la tastiera ad avere le battute migliori…
“Your Racist Friend” è tex-mex, attualissimo nelle implicazioni. “Practicle Man” è una canzone suonata col Cajon. Il siparietto filosofico di “Older” è metateatrale e metacognitivo.
Il loro cantuccio poetico, in definitiva, se lo sono ritagliati nella musica popolare americana. Qui da noi non hanno attecchito. Ancora succubi del modello di vita americano, non apprezziamo abbastanza la corrosione messa in atto da questi due John.
“Potrebbero essere giganti”, eppure sono un gruppo rock di nani. Facile! Come un mattino domenicale. Ma quel nome, che ricalca un film del 1971, si riferisce al “Don Chisciotte” di Cervantes, uno dei pochi romanzi che abbia afferrato il senso di svariate cose, tra cui l’esistenza. È Chisciotte che vede i mulini a vento e dice «potrebbero essere giganti». Avesse potuto sentire i TMBG, avrebbe detto: «Meglio la vergogna sul viso che una macchia sul cuore», oppure «la stirpe si eredita, la virtù si acquista; e la virtù vale da sola quello che la stirpe non vale». Insomma, avrebbe intravisto un “virtuoso” duo.
Carico i commenti... con calma