Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su sentireascoltare.com

The Cosmic Sòla. Ci sono dischi che, a un certo punto, segnano delle tendenze, impongono uno stile che poi viene puntualmente reiterato e pompato in tutte le salse da vari gruppi-cloni, DJ pigri e Radio Fintamente Libere che ne decretano il trionfo e ne marcano il territorio per i mesi a seguire. Così è capitato per questi Thievery Corporation, che dopo due dischi passati "in odore" di originalità (veri e propri apripista al genere cosmic-lounge, se mi permettete il termine) se ne escono con questo "the cosmic game" che oserei definire scialbetto e noioso. Insomma, più una "The cosmic sòla" che altro. E' vero che The Cosmic Game rappresenta un tentativo da parte dei Thievery Corporation di dare vita a "un vero album" nel senso più classico del termine e nulla si può recriminare all'omogeneità concettuale di questo lavoro, fortemente influenzato - come è facile evincere sin dalla grafica di copertina fino a un titolo come "Doors Of Perception" dalla cultura psichedelica degli anni '60.

Ma le buone intenzioni, però, finiscono tutte qui. Il resto diventa una carnascialia di canzoni frammentate ed eterogenee senza mordente che si impasticcano di dub-reggae ("Amerimacka") chetantofunzionasempre, alla bossa (ancooora?! Ancora, ancora?) del trittico "Eternal Ambition", "Sol Tapado" e "Pela Janela" che fa tantotrendychnontidico. Avanti col soft-melassa-lounge di "The Time We Lost Our Way" che fa il verso agli Style Council del tempo che fu fino al polpettone Bollywoodiano di "Shiva" e altre 4 che, citarne i titoli o meno, non fa differenza. Un disco che si definisce semplicemente con: PRE-VE-DI-BI-LE. Prevedibili gli innesti vocali dei vari ospiti/cantanti (badabèn: ognuno per il suo genere come negli stereotipi delle barzellette dove il negro parla con la B, il tedesco con le K etc. Anche qui ognuno canta il suo genere, uno che fa l'africano, quello che fa l'indiano, l'altro il portoghese sia mai che un David Byrne canti su qualcosa di diverso da quello che sa già fare da vent'anni e passa a questa parte e chiudo parentesi). Prevedibili i suoni che che "devono" essere sempre più cool per piacere a quanti più locali trendaioli possibili e per far fare una porca figura a qualche commessa del centro che esponendo il cd nel settore lounge tra scarpe D&G e profumi Meschino, masticando volgarmente una cicca vi chiederà: "mbè, che c'è? Nun va bbene?" No, cara mia. Va tutto disperatamente bene: tutto bellissimo, tutto sciccosissimo, tutto ballabilisssimo-ma-non-troppo che fa volgare?

Prevedibile nella sua freddezza e pulizia, dove l'unica cosa a mancare è proprio l'anima, il calore, il sudore, l'umanità, in una parola LE EMOZIONI che qui risultano, appunto, vergognosamente assenti. Un disco che passerà nel dimenticatoio in meno che non si dica ma che farà proseliti anche tra i club danzerecci "più in" delle grandi città, coacervi di triste umanità compressa in movimenti sculettatori di gente griffata da capo a piedi ma senza anima, senza calore e senza emozioni. Un disco umanamente inutile: raccapricciante riciclaggio di idee già usate come condimento in piatti migliori (molto più saporiti e soprattutto molto più nutrienti).

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