Siamo nel 1976 e i nostri quattro pionieri irlandesi sono al culmine della loro vena compositiva che li porterà al successo internazionale.
Johnny The Fox esce qualche mese dopo rispetto al più celebre Jailbreak, e forse risente della popolarità di un precedente piuttosto illustre, ma a modesto parere del sottoscritto il nostro risulta nel complesso più fresco e genuino pur non avendo un capolavoro quale è Emerald.
Le due chitarre sulfuree del californiano Scott Gorham e del poco più che adolescente Brian "Robbo" Robertson (all’epoca aveva 19 anni!) lavorano all'unisono che è una meraviglia macinando riff mai banali o scontati e collezionando una serie di assoli molto precisi e puliti che regalano sicure emozioni.
Che dire della prova come al solito sublime di quel geniaccio che fu Phil Lynott, ragazzo di colore nella difficile realtà ultra cattolica dell’Irlanda dei Seventies, musicista che esplorò i più svariati generi musicali, songwriter attento anche alla realtà politica, cantante dalla voce suadente e ipnotica.
Da notare anche l’ottimo lavoro delll’energico Brian Downey dietro le pelli, come sempre puntuale.
Pezzi da citare senz’altro Johnny, Rocky, la ballata Borederline, la cadenzata Don’t Believe A Word e quella Fool’s Gold memorabile se non altro per l’intro, che definirei quasi leggendario, dove la calda voce parlata di Lynott viene accompagnata dalle note sognanti delle due chitarre.
Ma l’episodio più notevole è rappresentato da Massacre dove un riff isterico e un drumming poderoso fanno da sfondo alle liriche toccanti di Lynott.
La traccia, come raccontò Phil, venne concepita dalla visita nell’ospedale di Manchester (dove il cantante era stato ricoverato per un’epatite virale) di un prete protestante.
La rigida formazione cattolica di Phil lo rese schivo e diffidente. Solo in seguito si rese conto di quanto fosse stato stupido e condannò, con le liriche di questo pezzo, i pregiudizi religiosi e le guerre sante.
Le altre tracce non sono da meno anche se navigano un po’ nell’anonimato.
Volete una chicca? Ebbene, si narra che prima di un’esibizione del tour americano, precedente l’uscita dell’album in questione, Lynott esaltò a tal punto la sua band da riferire a Mr.Blackmore (sì, proprio lui) che i suoi Lizzy quella sera avrebbero annientato la performance della creatura dell’ex chitarrista Purple: i mitici Rainbow. Al simpatico battibecco tra i due assistette anche il poderoso batterista John "Bonzo" Bonam (Led Zeppelin), che rimase divertito e ammaliato dall’incredibile spavalderia di Lynott.
Non so come andò a finire quella sera, ma un dato è certo, il carisma e le capacità artistiche di Phil sono indiscutibili.
Del resto lo stesso chitarrista Purple Ritchie Blackmore, che non nascondeva la sua ammirazione per la band, rivelò: “Phil è l’unica persona che riesca a far stare cinque riff nello spazio di quattro”.
E se lo dice lui…
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