Glen Sweeney, batterista e percussionista, è il fondatore del gruppo inglese Third Ear Band; sono della partita Paul Minns, oboista e flautista, Richard Coff, violinista, e Mel Davis, violoncellista.
La formazione pare preludere alla recensione di un disco di musica colta contemporanea, ma non c'è nulla di più fuorviante. Schieramento originale, specie a tener conto del fatto che si tratta della loro prima pubblicazione, datata 1969. Lavoro interessante e coraggioso per loro ma anche per la EMI Harvest che ha pubblicato questo LP che, francamente, mi è difficile classificare.
In totale, sono otto tracce strumentali la cui vena psichedelica di fondo è sempre immersa in atmosfere free, molto vicine all'area jazz, accompagnate dal crescendo ipnotico ed orientaleggiante della ritmica percussiva.
È la struttura dei singoli brani a giustificare il riferimento al free e al jazz: nonostante le sonorità di partenza sembrino a volte radicate nel folk inglese e celtico, tutte hanno molto a che fare con le improvvisazioni libere attorno ad una tonalità, ma con un palese ricorso anche a scale arabeggianti ed all'uso frequente di quarti di tono, facilmente ottenibili con gli strumenti ad arco.
Trovo che la definizione che Rolf-Ulrich Kaiser nel suo ormai dimenticato "Guida alla musica pop" del 1969 dà della musica psichedelica calzi a pennello su questo disco: "I musicisti che danno questo nome alla loro musica, per psichedelico intendono qualcosa che allarga la coscienza e che è nello stesso tempo cioscienza allargata. Cioè, secondo loro, la musica nuova non può essere interpretata ma solo capita, e anche questo soltanto se nell'ascoltatore esiste una determinata predisposizione a comprenderla".
Insomma, se ascoltassimo questo disco, magari live, all'UFO Club di Londra nei primissimi anni '70 in pieno trip da LSD, in mezzo ad un light show, sicuramente, ne godremmo in modo più pieno di quanto possiamo fare oggi dalla poltrona di casa, anche se, per meglio calarci, sorseggiamo wiskey torbato.
I Third Ear Band hanno calcato più volte il palco dell'UFO assieme ad illustri colleghi quali i Soft Machine, i Move o i Pink Floyd.
Ma torniamo alla musica, che, ripeto non è di facile definizione: il disco è sfuggevole ma al contempo mi affascina parecchio; i suoni si susseguono impalpabili ma concreti allo stesso tempo; i confini delle varie tessiture strumentali spariscono, ma contemporaneamente la ritmica ci riassesta coi piedi saldi per terra.
In realtà, il nome del gruppo svela l'arcano suggerendo la migliore condizione nell'uso del terzo orecchio, quello della percezione interiore, nel contesto evocato dalla copertina dell'alchimia e dell'esoterismo medioevale occidentale, con cornici orientali.
Certamente l'idea iniziale del gruppo era di fare musica molto più liberatoria e più espressivamente creativa rispetto a quanto facevano i gruppi psichedelici loro contemporanei.
A questo disco segue un secondo, certamente migliore e ben recensito sulle pagine di DeBaser, poi due colonne sonore, una delle quali per Roman Polansky, e poi, ancora, la fine dell'avventura.
Passare attraverso l'ascolto di questo disco è un'eperienza certamente da fare per chi voglia calarsi nelle atmosfere di quegli anni, con buona pace di Paul Minns, suicidatosi nel 2000.
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